Parliamo di clandestini, sgomberi e quella che potrebbe essere la verità rispetto la vicenda eclatante accaduta a Roma.
La decisione di procedere ad
espellere da un palazzo di Roma indebitamente occupato da famiglie e singoli,
che appropriandosene illegalmente avevano trovato, come tanti altri, una
precaria sistemazione abitativa.
In particolare le modalità
delle operazioni di espulsione sono state argomento di gran risonanza
mediatica, ma come troppo spesso accade parte degli aspetti reali della vicenda
sono stati nascosti, a malapena accennati o comunque sottaciuti e non chiariti
da chi dovrebbe preoccuparsi di informare i cittadini (ovvero gli organi della
informazione, considerata uno dei poteri che contribuirebbe al mantenimento
dello stato democratico).
Bisogna dare atto che tali
organi di informazione ufficiali hanno debitamente evidenziato: che ormai da
diversi anni il famigerato palazzo era stato occupato, che lo stesso si trova
in zona centralissima della città e appartiene ad una società di capitali.
La stessa società
proprietaria avrebbe posto a disposizione di parte delle famiglie occupanti,
per alleviarne il disagio, alcune villette di sua proprietà poste ad una
cinquantina di kilometri di distanza dalla città, che le operazioni di sgombero
hanno causato momenti di estrema tensione e manifestazioni di violenza da parte
degli occupanti e della polizia, ecc..
Il principio della razionalità
e veridicità dell’informazione, tipico valore socialmente riconosciuto e dovuto
dai media, non sembra però sia stato completamente rispettato.
Innanzitutto gli organi di
informazione hanno rassicurato i cittadini affermando che l’operazione era
stata debitamente prevista secondo un piano generale per gli sgomberi già
predisposto dal Ministero degli interni (non solo per la città di Roma, ma per
tutto il territorio nazionale?) senza che il contenuto di tale piano venisse
minimamente illustrato ad alcuno, senza quindi poter avere conoscenza dei
criteri e delle priorità stabilite, quindi anche senza poter giudicare sugli
aspetti pratici e morali di tale agire.
In realtà solo dopo l’avvenuto sgombero si è
cominciato a discutere tra i vari poteri per definire i principi di un “piano
generale” ed a discutere in merito alla creazione di regole di comportamento e
coordinamento.
In pratica il periodo scelto
per la messa in funzione di detto piano (agosto), il clamore, forse
inaspettato, suscitato dalle operazioni di polizia, il rimpallo di
responsabilità per l’accaduto.
Il successivo STOP ad
ulteriori sgombri, che di fatto congela, almeno per il momento ogni azione, non
hanno permesso di sapere secondo quale criterio si sia deciso di iniziare ad
operare con la liberazione dello specifico palazzo e, per esempio, non con la
liberazione di altri edifici magari occupati da più tempo.
Il notevolissimo valore del
bene immobile in questione suggerisce ai
malpensanti che gli avvenimenti occorsi nulla abbiano a vedere con un piano
generale predisposto e ugualmente utilizzabile per tutte le situazioni simili
(secondo un principio assolutamente democratico), ma che si sia agito a seguito
di pressioni specifiche (da parte di politici od altro) che hanno sollecitato
ad agire uno dei poteri presenti nella nostra società (quello burocratichese),
visto che il potere politico, temendo di alienarsi troppi consensi si era, almeno
ufficialmente, astenuto fino ad oggi.