Si discute ormai da tempo
in merito alle nostre pensioni ed Inps rispetto la tenuta
del
sistema pensionistico italiano, malgrado gli interventi restrittivi (a carico
dei soliti pensionati) derivanti dalla famigerata legge Fornero
cui
viene principalmente imputata la colpa di aver ridotto importi e durata delle
attuali e future pensioni.
Pensioni ed Inps: aumento dell’età pensionabile proporzionale alla longevità degli Italiani
L’aumento dell’età
pensionabile teoricamente si giustifica con la maggiore longevità degli
italiani che hanno deciso di voler sopravvivere più a lungo ed il meccanismo
automatico di adeguamento determina che si può andare in pensione (per ora) in
pratica a 67 anni.
La vita media degli
italiani (mediando tra i maschi e le più longeve femmine) è di circa 82 anni,
pertanto l’INPS è tenuta a pagare per 15 anni una pensione a fronte dei
contributi riscossi dal lavoratore. Si stanno esaminando ovviamente i
cosiddetti trattamenti contributivi e non quelli che si possono definire
sociali, o altro.
L’importo medio delle
pensioni liquidate mensilmente è pari a circa € 900 (novecento) ovviamente vi
sono notevoli differenze tra le varie categorie di pensionati e moltissimi
percepiscono somme inferiori.
Ipotizziamo un esempio
semplificando al massimo ed approssimando per difetto in funzione di rendere
accessibile e consentire anche al più sprovveduto, ma volenteroso, di rifarsi i
conti.
Se un comune cittadino ha
iniziato a lavorare all’età di 26 anni ed ha proseguito fino a 67 anni mantenendo
costante una retribuzione netta di € 1000 (mille) mensili alla fine avrà
versato, in uno col suo datore di lavoro, nelle casse dell’INPS circa € 158000
(centocinquantotto mila), somme calcolate per sole 12 mensilità e non per 13 o
14 come in realtà.
Presupponendo poi che le
somme versate negli anni abbiano potenzialmente fruttato un interesse semplice
del 2% annuo il totale teorico dei proventi affluiti al nostro istituto di previdenza
dovrebbe essere di almeno € 200.000
(duecentomila), molto di più se si considerassero gli interessi di volta in
volta maturati sugli interessi stessi.
Se non esistesse un
sistema pensionistico statale ed il lavoratore fosse così oculato da mettere a
risparmio la somma mensile di circa € 300 (trecento) per poter vivere dopo i 67
anni senza più lavorare avrebbe a sua disposizione almeno il totale sopra
evidenziato pari ad € 1110 (millecentodieci) al mese, salvo imposte presenti e
future, per i 15 anni di vita che teoricamente gli restano.
L’INPS paga invece agli
stessi lavoratori una pensione di meno di € 900 (novecento) mensili e quindi
restituisce in quindici anni solo € 162000 (centosessantaduemila)
appropriandosi di circa € 40000 (quarantamila).
Pensioni ed Inps: facciamo due rapidi calcoli
In realtà l’INPS alla
fine del periodo dovuto di versamenti dovrebbe aver percepito, nell’arco di 40
anni, sicuramente anche gli interessi sugli interessi annualmente maturati, per
altre migliaia di Euro o potrebbe aver investito in immobili da reddito (come
largamente fatto in passato) ricavando migliori profitti, superiori al 2% sopra
teorizzato; ma forse non è stata capace di gestire investimenti in quanto ente
esclusivamente di tipo burocratico senza
scopo di lucro.
Il totale dei trattamenti
pensionistici comunque erogati ad oggi è di circa 18 milioni di cui 4 milioni
non sarebbero di tipo contributivo, ma la consistenza media di queste prestazioni
di sostegno sociale è inferiore ad € 400 (quattrocento) mensili.
Lo scandaloso obolo di €
270 (duecentosettanta) mensili, erogati come pensione agli invalidi civili (quelli
al 100%) e simili, si spiega forse con il dover mantenere l’esborso totale per
prestazioni sociali il più possibile nell’ambito di quanto in pratica viene
sottratto ai titolari di trattamento contributivo.
Il nostro ente
pensionistico giustifica la sua non brillante situazione economica con il fatto
che fino all’anno 2010 (e anche dopo) non tutte le pensioni sono state
calcolate seguendo lo stesso metodo contributivo.
Pensioni ed Inps: la scandalosa gestione del patrimonio immobiliare
Ma che fine ha fatto il
patrimonio anche immobiliare che era stato accumulato negli anni dall’INPS e
che, producendo una adeguata rendita, avrebbe dovuto assicurare la
sostenibilità del sistema? I nostri politici o i burocrati da loro stessi
delegati per decine di anni non si sono accorti della insostenibilità della
situazione?
E’ stato svenduto tutto per fare cassa e forse
anche per far fronte al pagamento delle enormi spese di gestione ordinaria
dell’ente pari a oltre 5 miliardi annui?
In proposito è risultato
alquanto difficile conoscere (con un semplice click) il numero dei dipendenti
dell’INPS sia in servizio che in quiescenza ed il loro trattamento economico
privilegiato, vale la pena provarci per rendersene conto.
Qualche numero sembra non
soddisfare perfettamente le aspettative e comunque o attraverso il
sovvenzionamento statale (sempre provvido e a carico dei contribuenti) o con la
eventuale revisione verso il basso dei trattamenti mensili i pensionati di
ieri, di oggi, di domani ed i cittadini dovranno continuare a soffrire.
Il tentativo di scegliere
tra statalismo e liberismo contestando il monopolio previdenziale all’INPS, proprio
in funzione degli indirizzi liberisti comunitari non è risultato percorribile e
resta solo da sperare che non si evidenzino impreviste situazioni di crisi
ulteriori (banche insegnano) e si possa continuare a campare.
I cosiddetti fondi
pensione di oltre oceano, che assicurano trattamenti di fine rapporto e
pensioni ben più congrui, gestendo con (prudente) spirito imprenditoriale i
risparmi dei lavoratori, si contrappongono alla nostra realtà fatta di contributi
obbligatori gestiti dal solito carrozzone burocratico creato e voluto in epoca
mussoliniana.