venerdì 15 dicembre 2017

Elezioni 2018: programmi politici e finanza

Salvo novità inaspettate sembra che si sia ormai completamente definita la rosa dei concorrenti (partiti e coalizioni) che si presenteranno alle prossime elezioni politiche, vediamo i programmi e soprattutto che benefici ne trarrà la finanza del nostro stato.

Forse solo alcune liste minori, da sempre e solo create per fini strumentali e/o di appoggio, restano ancora in via di determinazione.

I cittadini elettori dovranno scegliere quindi tra una coalizione di centrodestra una coalizione di centrosinistra, un raggruppamento minore dichiaratamente di sinistra, un singolo partito avente aspettativa maggioritaria denominato Movimento 5 stelle.

Resta dubbia la possibilità che possano esservi altri concorrenti in grado di raggiungere e superare il limite di consensi del 3% per ottenere la nomina di propri rappresentanti parlamentari, visto quanto prescritto dalla attuale legge elettorale.

Come già da molti ipotizzato si è concretizzata una rosa di concorrenti simile a quella di recente formatasi in occasione delle elezioni regionali siciliane.

Si può ritenere inoltre assai probabile che l’altro grande partito, quello degli astensionisti, risulterà come al solito decisamente il più votato; cerchiamo pertanto di considerare anche i motivi di tanta disaffezione per la politica.

Elezioni politiche 2018: i programmi politici

Per prima cosa bisogna osservare che i programmi delle formazioni politiche più rappresentative sono in effetti simili tra loro e poco innovativi rispetto al passato.

Evidenziamo per primo ed a grandi linee il contenuto delle varie promesse elettorali:
il centrodestra promette genericamente di portare al livello minimo di mille Euro tutte le pensioni degli italiani (vale anche per i miseri sussidi di invalidità al 100% e simili?); di rivederne i limiti di anzianità per poterne fruire prima modificando le previsioni della attuale legge Fornero; di mostrare i muscoli nei confronti dei partner europei per contrastare le limitazioni imposte dalla finanza internazionale al nostro libero sviluppo; di diminuire il carico fiscale ecc.

Il centrosinistra, di fatto attuale responsabile e governante, pone in evidenza quanto già fatto in favore dei redditi di alcuni cittadini attraverso i vari incentivi e bonus elargiti e promette nuovi provvedimenti simili.

Il Movimento 5 stelle promette di creare l’istituto del cosiddetto reddito di
cittadinanza (in realtà non sotto forma di vero e proprio reddito di cittadinanza, ma di sussidio universale per i cittadini inoccupati), di essere disposto a rivedere quanto previsto dalla legge Fornero nonché di voler anch'esso mostrare i muscoli nei confronti dei partner europei per contrastare le limitazioni imposte dalla finanza internazionale al nostro libero sviluppo; di diminuire il carico fiscale ecc.

Il raggruppamento di sinistra oltre a contrastare quanto stabilito dalla legge Fornero, porta avanti in particolare la propria battaglia per il ripristino di alcuni diritti dei lavoratori lesi dalla vigente nuova normativa (volendo ripristinare l’art. 18 dello statuto dei lavoratori), auspica miglioramenti in favore dei meno abbienti e una eventuale più equa redistribuzione del reddito disponibile.

Dalle promesse elettorali ai possibili risvolti della copertura finanziaria

Tutti i programmi ipotizzati, a detta dei loro promotori potrebbero trovare una copertura finanziaria adeguata, malgrado la difficile situazione di bilancio in cui versa la nostra Italia.

In realtà se, come è prevedibile, il nostro PIL non si metterà inaspettatamente a incrementarsi fino a crescere al ritmo del 3% annuo non è ben chiaro come i nuovi governanti troveranno le maggiori disponibilità necessarie per mantenere le promesse elettorali.

La preventivata abolizione di vitalizi vari e pensioni d’oro, vista la realtà delle scarse cifre globali in ballo, restano simbolici provvedimenti atti solo a calmare gli animi dei meno abbienti e a ricercare qualche voto in più.

Una vera spending rewiew che dovrebbe anche avere il compito di individuare le necessarie modifiche e snellimenti delle procedure degli organi esecutivi non è mai stata impostata e sembrerebbe mai veramente voluta, nonché impossibile a causa delle enormi resistenze contro ogni cambiamento fatte dagli stessi apparati burocratici e dai gruppi di potere che da tempo sembrano prevalere nei confronti dei politici.

Spesso i governanti trovano nella complessità degli adempimenti previsti dalla burocrazia una agevole scusante per i propri ritardi ed errori (quale esempio si ricorda quanto apertamente dichiarato dalle massime cariche dello stato in merito ai ritardi nelle operazioni di ricostruzione delle località colpite dall'ultimo terremoto).

Ma questa cosiddetta burocrazia non è un organo indipendente e separato dello stato ed è così strutturata per volontà del legislatore che potrebbe, ma evidentemente non vuole, cambiarne rapidamente la organizzazione stessa rendendola più flessibile e meno costosa.

Vi sono poi da evidenziare le conseguenze immanenti delle clausole di salvaguardia che il governo si è impegnato ad applicare nel caso in cui si evidenziassero parametri insufficienti a garantire il previsto equilibrio tra attivo e passivo del bilancio italiano; sono provvedimenti che aggraverebbero gli oneri dei singoli in favore del solo mantenimento dello status quo.

I cittadini elettori hanno percepito che, pur se armati delle migliori intenzioni, gli stessi (pochi?) politici che non antepongono i propri privilegi al bene comune non potranno modificare senza innovare veramente e di innovare non ne parlano in molti.

Per tale motivo chiunque abbia proposto di rottamare o comunque cambiare persone, procedure o cose è stato subito osannato e gratificato dal consenso generale, ma non avendo potuto o voluto perseguire tale scopo fino in fondo, lo stesso ha perso il consenso.


Proprio a causa di questa esigenza di cambiamento, non perseguita dai politici, cominciano a svilupparsi opposti gruppi estremisti che hanno programmi e metodologie operative ben differenti da quelli ammissibili nell'ambito di uno stato di diritto.