Mentre restiamo sospesi
in attesa di vedere di quale colore sarà il coniglio che i partiti tireranno
fuori dal cilindro delle elezioni, ci sia consentito di generalizzare,
sragionare e fantasticare in merito ad alcuni dei termini, parametri, citazioni
ed affermazioni, di recente ripetuti spesso dai nostri politici e somministrati
quotidianamente ai comuni cittadini.
Questi ultimi, in
maggioranza, non sono esperti economisti e non sono in grado di comprendere a
pieno le implicazioni, macroeconomiche e non, di quanto eventualmente
determinato, magari per accordo tacito tra gli stessi politici.
Per esempio, una delle
conseguenze attribuite da alcuni al pluricitato fiscal compact sarebbe il
verificarsi di una strana situazione per cui un comune, pur avendo disponibilità
di cassa, non può utilizzare liberamente i propri soldi per far si che la
comunità possa godere di maggiori e/o migliori prestazioni, altrimenti si
aumenterebbe la spesa pubblica soggetta a vincolo e ciò suscita in molti
perplessità.
La accettazione di un
vincolo siffatto (le cui conseguenze un poco riportano alla memoria le
vecchissime politiche della spilorceria) è stata sollecitata a livello europeo
dai nostri partner, preoccupati per la eccessiva mole dei debiti accumulati da
molte nazioni comunitarie.
In effetti, secondo i
dati noti, il nostro debito pubblico, accumulatosi nel tempo, supera il limite,
considerato corretto e virtuoso, del sessanta per cento rispetto al PIL (siamo
intorno al centotrenta per cento).
Se l’Italia fosse una
semplice impresa produttrice avrebbe già da tempo dovuto portare i libri
contabili in tribunale, chiedendo il fallimento, per fortuna molte altre
nazioni sono più o meno nelle nostre condizioni e pertanto mal comune mezzo
gaudio!
Quando poi viene citato
il parametro PIL, si intende quantizzare il valore di mercato di tutti i beni e
servizi finali prodotti in un paese in un dato periodo di tempo (usualmente un
anno) e la attenzione su questo stesso parametro, che dovrebbe rappresentare lo
stato di salute delle economie nazionali, è stata sempre massima da parte di
tutti i nostri governanti.
Una variazione in più o
in meno (anche di uno zero virgola) viene considerata oltre che economicamente
importante, politicamente determinante per i nostri legislatori, peraltro molti
economisti non attribuiscono al PIL la capacità di rappresentazione delle reali
condizioni dell’economia di un paese.
Si noti che lo stesso
indice (PIL) può essere determinato con diversi metodi (quello cosiddetto del reddito,
quello della spesa e quello del valore aggiunto), ai fini di chiarezza e
completezza, quando se ne parla, sarebbe opportuno specificare sempre anche la
metodologia usata.
Un altro vincolo
all'azione di governo, in pratica imposto da accordi internazionali, di cui si
parla spesso, è il mantenimento al di sotto del tre per cento del rapporto tra
deficit (da non confondere con il rapporto col debito di cui sopra) e PIL, che
deve mantenersi al di sotto del tre per cento.
A causa di tale vincolo
non è possibile che l’Italia possa abbandonare la cosiddetta politica di
austerità e procedere ad una adeguata immissione di liquidità nel sistema
economico, da tutti ritenuta necessaria per ridare slancio alla economia reale
ormai da anni depressa e per rispondere in tal modo alle istanze di chi non
trova lavoro in una situazione di stallo.
I nostri politici, al
fine di mantenere una parvenza di credibilità a livello europeo, per
ottemperare ai vari vincoli, hanno preferito diminuire, da tempo e sempre di
più ogni anno, la spesa statale per investimenti, ovviamente senza preoccuparsi
del contemporaneo aumento della spesa per l’ordinaria gestione dell’immensa e
contorta mole dell’apparato burocratico statale.
Come noto tutti i
tentativi fatti per razionalizzare e diminuire tale spesa sono in pratica falliti
e nessuno dei programmi presentati in sede elettorale ha indicato termini,
tempi e in definitiva precise modalità per realizzare una concreta spending
rewiew di cui tutti ne riconoscono genericamente (a parole) la necessità.
Individuare con
precisione gli enti statali più o meno inutili e prevedere modalità e tempi
certi per la loro soppressione o accorpamento avrebbe significato una perdita
di voti per la parte politica proponente: meglio lasciare nel vago la questione!
Modificare o addirittura
abolire la legge Fornero sulle pensioni è un’altra proposta di fatto reiterata
e bipartisan presente nei programmi elaborati dai partiti e votati dai
cittadini, ma in questo caso cosa significa quanto proposto?
L’ipotesi di modificare la
condizione di povertà in cui versano molti pensionati, migliorandola
definitivamente, ha l’esatto significato di pura e semplice utopia: eventuali
modifiche possibili sono solo peggiorative di tale situazione, a breve o a
lungo termine e vari organismi internazionali (guarda caso molti ad elezioni
fatte) si sono premurati di ricordarcelo.
I nostri politici nei
loro interventi pre e post elettorali hanno quasi sempre citato come benemerita
la politica finanziaria perseguita dal provvido Mario Draghi, governatore della
banca europea, ma vediamo, facendo anche un esempio numerico semplice, cosa
vuol perseguire tale politica.
Premesso che un qualsiasi
stato europeo deve emettere titoli di debito (BOT; CCT ecc.), ovviamente in
Euro, per ottenere danaro sul mercato degli investitori internazionali allo
scopo di rifinanziare parte o tutto il debito accumulato, nonché gli interessi
maturati, è avvenuto che grazie alla politica monetaria della stessa banca
europea sia stato possibile, per ora, mantenere basso il tasso di interesse di
tali titoli.
A tal fine e da tempo la
BCE ha acquistato parte delle emissioni (titoli di debito di cui sopra) non
assorbite dagli investitori finanziari e per questo motivo i tassi di interesse
si mantengono bassi diminuendo di conseguenza il peso del passivo dei bilanci
statali.
Nella realtà il costo di
tali operazioni di finanziamento comporta ad oggi, per l’Italia il pagamento di
un interesse (sugli stessi titoli di debito) più o meno pari al due per cento
annuo, ma il due per cento (sempre annuo) rappresenta per la stessa banca
europea l’obiettivo del tasso medio di svalutazione monetaria che si dovrebbe
avere in area Euro.
Se io stato, pertanto,
emetto in data primo gennaio un titolo di debito per l’importo nominale di €
100,00, dovrò restituire al trentuno dicembre successivo la somma (comprensiva
di interessi) di € 102,00, ma la restituirò con moneta svalutatasi nel frattempo
del due per cento (due Euro) e la situazione resterà immutata.
Ovviamente quanto così
semplicisticamente esposto può essere considerato poco scientifico ed
approssimativo, ma la conclusione logica è che la politica monetaria della
banca europea è indirizzata al mantenimento dello attuale stato delle cose più
che a favorire lo sviluppo armonico di tutte le nazioni partecipanti al sistema.
Vengono così privilegiate
le cosiddette economie già forti, in grado di reperire autonomamente fondi per
incrementare il loro PIL e che non sono,
come quella italiana, costrette a sopravvivere e a non svilupparsi anche e specialmente
per mancanza di adeguato sostegno finanziario statale.
La BCE dovrebbe
perseguire non il traguardo del mantenimento dello status quo, ma quello dello
sviluppo più equilibrato delle diverse nazioni partecipanti al SISTEMA, finanziando
massicciamente le economie più deboli, se necessario provvedendo a reperire i
fondi attraverso la emissione di appositi euro bond (titoli di debito europei)
come da alcuni inutilmente prospettato.
Purtroppo sembra proprio
che chi ci governa o ci governerà non abbia sufficiente coraggio e/o forza per
poter così veramente progredire.