venerdì 23 marzo 2018

Politica economica, verità e fantasie


Mentre restiamo sospesi in attesa di vedere di quale colore sarà il coniglio che i partiti tireranno fuori dal cilindro delle elezioni, ci sia consentito di generalizzare, sragionare e fantasticare in merito ad alcuni dei termini, parametri, citazioni ed affermazioni, di recente ripetuti spesso dai nostri politici e somministrati quotidianamente ai comuni cittadini.

Questi ultimi, in maggioranza, non sono esperti economisti e non sono in grado di comprendere a pieno le implicazioni, macroeconomiche e non, di quanto eventualmente determinato, magari per accordo tacito tra gli stessi politici.

Per esempio, una delle conseguenze attribuite da alcuni al pluricitato fiscal compact sarebbe il verificarsi di una strana situazione per cui un comune, pur avendo disponibilità di cassa, non può utilizzare liberamente i propri soldi per far si che la comunità possa godere di maggiori e/o migliori prestazioni, altrimenti si aumenterebbe la spesa pubblica soggetta a vincolo e ciò suscita in molti perplessità.

La accettazione di un vincolo siffatto (le cui conseguenze un poco riportano alla memoria le vecchissime politiche della spilorceria) è stata sollecitata a livello europeo dai nostri partner, preoccupati per la eccessiva mole dei debiti accumulati da molte nazioni comunitarie.

In effetti, secondo i dati noti, il nostro debito pubblico, accumulatosi nel tempo, supera il limite, considerato corretto e virtuoso, del sessanta per cento rispetto al PIL (siamo intorno al centotrenta per cento).

Se l’Italia fosse una semplice impresa produttrice avrebbe già da tempo dovuto portare i libri contabili in tribunale, chiedendo il fallimento, per fortuna molte altre nazioni sono più o meno nelle nostre condizioni e pertanto mal comune mezzo gaudio!

Quando poi viene citato il parametro PIL, si intende quantizzare il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali prodotti in un paese in un dato periodo di tempo (usualmente un anno) e la attenzione su questo stesso parametro, che dovrebbe rappresentare lo stato di salute delle economie nazionali, è stata sempre massima da parte di tutti i nostri governanti.

Una variazione in più o in meno (anche di uno zero virgola) viene considerata oltre che economicamente importante, politicamente determinante per i nostri legislatori, peraltro molti economisti non attribuiscono al PIL la capacità di rappresentazione delle reali condizioni dell’economia di un paese.

Si noti che lo stesso indice (PIL) può essere determinato con diversi metodi (quello cosiddetto del reddito, quello della spesa e quello del valore aggiunto), ai fini di chiarezza e completezza, quando se ne parla, sarebbe opportuno specificare sempre anche la metodologia usata.

Un altro vincolo all'azione di governo, in pratica imposto da accordi internazionali, di cui si parla spesso, è il mantenimento al di sotto del tre per cento del rapporto tra deficit (da non confondere con il rapporto col debito di cui sopra) e PIL, che deve mantenersi al di sotto del tre per cento.

A causa di tale vincolo non è possibile che l’Italia possa abbandonare la cosiddetta politica di austerità e procedere ad una adeguata immissione di liquidità nel sistema economico, da tutti ritenuta necessaria per ridare slancio alla economia reale ormai da anni depressa e per rispondere in tal modo alle istanze di chi non trova lavoro in una situazione di stallo.

I nostri politici, al fine di mantenere una parvenza di credibilità a livello europeo, per ottemperare ai vari vincoli, hanno preferito diminuire, da tempo e sempre di più ogni anno, la spesa statale per investimenti, ovviamente senza preoccuparsi del contemporaneo aumento della spesa per l’ordinaria gestione dell’immensa e contorta mole dell’apparato burocratico statale.

Come noto tutti i tentativi fatti per razionalizzare e diminuire tale spesa sono in pratica falliti e nessuno dei programmi presentati in sede elettorale ha indicato termini, tempi e in definitiva precise modalità per realizzare una concreta spending rewiew di cui tutti ne riconoscono genericamente (a parole) la necessità.

Individuare con precisione gli enti statali più o meno inutili e prevedere modalità e tempi certi per la loro soppressione o accorpamento avrebbe significato una perdita di voti per la parte politica proponente: meglio lasciare nel vago la questione!

Modificare o addirittura abolire la legge Fornero sulle pensioni è un’altra proposta di fatto reiterata e bipartisan presente nei programmi elaborati dai partiti e votati dai cittadini, ma in questo caso cosa significa quanto proposto?

L’ipotesi di modificare la condizione di povertà in cui versano molti pensionati, migliorandola definitivamente, ha l’esatto significato di pura e semplice utopia: eventuali modifiche possibili sono solo peggiorative di tale situazione, a breve o a lungo termine e vari organismi internazionali (guarda caso molti ad elezioni fatte) si sono premurati di ricordarcelo.

I nostri politici nei loro interventi pre e post elettorali hanno quasi sempre citato come benemerita la politica finanziaria perseguita dal provvido Mario Draghi, governatore della banca europea, ma vediamo, facendo anche un esempio numerico semplice, cosa vuol perseguire tale politica.

Premesso che un qualsiasi stato europeo deve emettere titoli di debito (BOT; CCT ecc.), ovviamente in Euro, per ottenere danaro sul mercato degli investitori internazionali allo scopo di rifinanziare parte o tutto il debito accumulato, nonché gli interessi maturati, è avvenuto che grazie alla politica monetaria della stessa banca europea sia stato possibile, per ora, mantenere basso il tasso di interesse di tali titoli.

A tal fine e da tempo la BCE ha acquistato parte delle emissioni (titoli di debito di cui sopra) non assorbite dagli investitori finanziari e per questo motivo i tassi di interesse si mantengono bassi diminuendo di conseguenza il peso del passivo dei bilanci statali.

Nella realtà il costo di tali operazioni di finanziamento comporta ad oggi, per l’Italia il pagamento di un interesse (sugli stessi titoli di debito) più o meno pari al due per cento annuo, ma il due per cento (sempre annuo) rappresenta per la stessa banca europea l’obiettivo del tasso medio di svalutazione monetaria che si dovrebbe avere in area Euro.

Se io stato, pertanto, emetto in data primo gennaio un titolo di debito per l’importo nominale di € 100,00, dovrò restituire al trentuno dicembre successivo la somma (comprensiva di interessi) di € 102,00, ma la restituirò con moneta svalutatasi nel frattempo del due per cento (due Euro) e la situazione resterà immutata.

Ovviamente quanto così semplicisticamente esposto può essere considerato poco scientifico ed approssimativo, ma la conclusione logica è che la politica monetaria della banca europea è indirizzata al mantenimento dello attuale stato delle cose più che a favorire lo sviluppo armonico di tutte le nazioni partecipanti al sistema.

Vengono così privilegiate le cosiddette economie già forti, in grado di reperire autonomamente fondi per incrementare il loro PIL e  che non sono, come quella italiana, costrette a sopravvivere e a non svilupparsi anche e specialmente per mancanza di adeguato sostegno finanziario statale.

La BCE dovrebbe perseguire non il traguardo del mantenimento dello status quo, ma quello dello sviluppo più equilibrato delle diverse nazioni partecipanti al SISTEMA, finanziando massicciamente le economie più deboli, se necessario provvedendo a reperire i fondi attraverso la emissione di appositi euro bond (titoli di debito europei) come da alcuni inutilmente prospettato.

Purtroppo sembra proprio che chi ci governa o ci governerà non abbia sufficiente coraggio e/o forza per poter così veramente progredire.