lunedì 21 maggio 2018

Contratto punto 1 e fantapolitica


La volata finale è in corso e finalmente un accordo tra M5s e Lega sembra concluso,
il testo definitivo del contratto è stato reso noto e sottoposto alla approvazione dei rispettivi iscritti.

 Se tutto andrà secondo le aspettative, per i prossimi cinque anni la nostra bella Italia sarà diretta da una maggioranza composta da due entità politiche che, in effetti, sono state fino a ieri feroci avversari.

Un tale risultato è stato reso possibile grazie al fatto che i due leader ed i tecnici dei partiti citati hanno alla fine individuato degli obiettivi comuni (politici?) da raggiungere, ritenuti in assoluto utili per il benessere dei cittadini.

In pratica allo scopo di conseguire tali obiettivi sono stati delineati e contrattualmente prestabiliti i contenuti dell’azione del futuro governo che sarà tenuto ad operare secondo gli indirizzi e le eventuali modalità esposte nello stesso contratto.

Per poter giungere a comprendere il vero significato (politico e pratico) degli avvenimenti sopra descritti, provvederemo ad esaminare, nel tempo, i vari aspetti del contratto di governo iniziando ora dalla disamina delle prime righe e del primo punto.

Si asserisce nelle premesse che le parti firmatarie intendono – incrementare il processo decisionale in Parlamento e la sua cooperazione con il governo – ma dal prosieguo si può dedurre che la realtà sia alquanto diversa.

Infatti non si riesce a capire come il parlamento possa incrementare il suo proprio processo decisionale, visto che il programma di governo (quello su cui il parlamento dovrebbe decidere) è stato determinato, non tramite un dibattito parlamentare, ma tramite la sottoscrizione di un contratto predisposto dai soli vertici e dai tecnici dei due partiti di maggioranza.

Nel prosieguo della legislatura il governo ed il parlamento dovranno quindi dedicare le loro energie alla realizzazione del programma concordato e contrattualizzato.

Se sorgeranno divergenze di interpretazione del contratto stesso e necessità di provvedere a legiferare su argomenti non previsti, per motivi contingenti, ogni eventuale disaccordo tra i partiti della nuova maggioranza sarà risolto primariamente con il ricorso alla mediazione di un nuovo organo (di governo?): il previsto comitato di conciliazione, la cui composizione e funzionamento sono demandate ad un ulteriore futuro accordo fra le parti.

In pratica, qualora sorgesse tra i vertici dei partiti o i componenti del governo una divergenza di opinione sulla opportunità di emanare una determinata legge o sui contenuti più o meno tecnici della stessa, non si aprirà una immediata discussione in parlamento, ma si tratterà della materia oggetto di contrasto nell'ambito del comitato di conciliazione.

Non parrebbe che il procedimento di cui sopra possa ritenersi assolutamente conforme ai dettami ed alla prassi costituzionale sino ad ora seguiti.

E’ ormai chiaro che per un motivo o per l’altro i partiti e non certo direttamente e/o unitariamente i singoli eletti dal popolo siano i protagonisti politici destinati a governare.

Nell'insieme, sono state utilizzate, sono utilizzate e si utilizzeranno di fatto per cambiare le regole del gioco politico: sia la abolizione della valenza delle preferenze ottenute ai fini della elezione a parlamentare, sia le candidature determinate dalle segreterie dei partiti, sia il futuro obbligo del vincolo di mandato, sia la necessità di prendere decisioni nell'ambito di uno schema attuativo di quanto già predisposto e come detto contrattualizzato.

I politici quindi si comportano di fatto come se riconoscessero che il sistema della democrazia fino ad ora in vigore non possa più funzionare allo stesso modo di prima.

Nessuno vuole, peraltro, apertamente dichiarare che servirebbe fare una vera e propria rivoluzione del sistema e tutti sono disposti ad agire solo attraverso parziali e talvolta inutili riforme, che facilmente non riescono a garantire in pieno risultati apprezzabili.

Lo stesso M5s che a parole afferma di avere in programma la creazione di una terza repubblica (diversa quindi dalle precedenti) sembra in realtà che non abbia il coraggio di affrontare apertamente i problemi relativi ad un vero CAMBIAMENTO di tutta la attuale organizzazione statale (legislativa ed esecutiva) con la conseguente necessità di riscrivere gli stessi dettami costituzionali.

Appare chiaro invece che il movimento cinque stelle tenda a favorire un futuro assetto politico che, proprio come le spesso richiamate antiche teorie di Rousseau, preveda l’esercizio del potere da parte di una minoranza illuminata (i suoi stessi dirigenti?) munita di amplissima delega del popolo (si torna indietro di trecento anni?).

Parimenti appare chiaro che l’altro componente della alleanza di governo (la lega) in buona parte professi apertamente idee e concetti propri della cosiddetta destra, che seppure in minoranza, storicamente non ha escluso la possibilità di prevaricare pur di affermare eventuali concetti ideologici e pratici ritenuti preminenti.

In effetti, anche il partito democratico, in specie nel periodo in cui è stato guidato dal premier Renzi, ha manifestato sotto certi aspetti la volontà ieratica di divenire soggetto mediatore delegato, gestore e nello stesso tempo controllore del potere democraticamente appartenente ai cittadini.

La concreta partecipazione del popolo al processo democratico non dovrebbe ridursi, come si sta di fatto riducendo, alla espressione di generico consenso attraverso informali manifestazioni di voto (banchetti o votazioni on line). 

Sono solo fantasiose illazioni o bisogna prendere in seria considerazione quanto ipoteticamente sopra accennato?