La
volata finale è in corso e finalmente un accordo tra M5s e Lega sembra concluso,
il
testo definitivo del contratto è stato reso noto e sottoposto alla approvazione
dei rispettivi iscritti.
Un tale risultato è stato
reso possibile grazie al fatto che i due leader ed i tecnici dei partiti citati
hanno alla fine individuato degli obiettivi comuni (politici?) da raggiungere,
ritenuti in assoluto utili per il benessere dei cittadini.
In pratica allo scopo di
conseguire tali obiettivi sono stati delineati e contrattualmente prestabiliti
i contenuti dell’azione del futuro governo che sarà tenuto ad operare secondo
gli indirizzi e le eventuali modalità esposte nello stesso contratto.
Per poter giungere a
comprendere il vero significato (politico e pratico) degli avvenimenti sopra
descritti, provvederemo ad esaminare, nel tempo, i vari aspetti del contratto
di governo iniziando ora dalla disamina delle prime righe e del primo punto.
Si asserisce nelle premesse
che le parti firmatarie intendono – incrementare il processo decisionale in
Parlamento e la sua cooperazione con il governo – ma dal prosieguo si può
dedurre che la realtà sia alquanto diversa.
Infatti non si riesce a
capire come il parlamento possa incrementare il suo proprio processo
decisionale, visto che il programma di governo (quello su cui il parlamento
dovrebbe decidere) è stato determinato, non tramite un dibattito parlamentare,
ma tramite la sottoscrizione di un contratto predisposto dai soli vertici e dai
tecnici dei due partiti di maggioranza.
Nel prosieguo della
legislatura il governo ed il parlamento dovranno quindi dedicare le loro
energie alla realizzazione del programma concordato e contrattualizzato.
Se sorgeranno divergenze
di interpretazione del contratto stesso e necessità di provvedere a legiferare
su argomenti non previsti, per motivi contingenti, ogni eventuale disaccordo
tra i partiti della nuova maggioranza sarà risolto primariamente con il ricorso
alla mediazione di un nuovo organo (di governo?): il previsto comitato di
conciliazione, la cui composizione e funzionamento sono demandate ad un
ulteriore futuro accordo fra le parti.
In pratica, qualora
sorgesse tra i vertici dei partiti o i componenti del governo una divergenza di
opinione sulla opportunità di emanare una determinata legge o sui contenuti più
o meno tecnici della stessa, non si aprirà una immediata discussione in
parlamento, ma si tratterà della materia oggetto di contrasto nell'ambito del
comitato di conciliazione.
Non parrebbe che il
procedimento di cui sopra possa ritenersi assolutamente conforme ai dettami ed
alla prassi costituzionale sino ad ora seguiti.
E’ ormai chiaro che per
un motivo o per l’altro i partiti e non certo direttamente e/o unitariamente i
singoli eletti dal popolo siano i protagonisti politici destinati a governare.
Nell'insieme, sono state
utilizzate, sono utilizzate e si utilizzeranno di fatto per cambiare le regole
del gioco politico: sia la abolizione della valenza delle preferenze ottenute ai
fini della elezione a parlamentare, sia le candidature determinate dalle
segreterie dei partiti, sia il futuro obbligo del vincolo di mandato, sia la
necessità di prendere decisioni nell'ambito di uno schema attuativo di quanto
già predisposto e come detto contrattualizzato.
I politici quindi si
comportano di fatto come se riconoscessero che il sistema della democrazia fino
ad ora in vigore non possa più funzionare allo stesso modo di prima.
Nessuno vuole, peraltro,
apertamente dichiarare che servirebbe fare una vera e propria rivoluzione del sistema
e tutti sono disposti ad agire solo attraverso parziali e talvolta inutili
riforme, che facilmente non riescono a garantire in pieno risultati
apprezzabili.
Lo stesso M5s che a
parole afferma di avere in programma la creazione di una terza repubblica
(diversa quindi dalle precedenti) sembra in realtà che non abbia il coraggio di
affrontare apertamente i problemi relativi ad un vero CAMBIAMENTO di tutta la
attuale organizzazione statale (legislativa ed esecutiva) con la conseguente
necessità di riscrivere gli stessi dettami costituzionali.
Appare chiaro invece che
il movimento cinque stelle tenda a favorire un futuro assetto politico che,
proprio come le spesso richiamate antiche teorie di Rousseau, preveda l’esercizio
del potere da parte di una minoranza illuminata (i suoi stessi dirigenti?) munita
di amplissima delega del popolo (si torna indietro di trecento anni?).
Parimenti appare chiaro
che l’altro componente della alleanza di governo (la lega) in buona parte professi
apertamente idee e concetti propri della cosiddetta destra, che seppure in
minoranza, storicamente non ha escluso la possibilità di prevaricare pur di affermare
eventuali concetti ideologici e pratici ritenuti preminenti.
In effetti, anche il partito
democratico, in specie nel periodo in cui è stato guidato dal premier Renzi, ha
manifestato sotto certi aspetti la volontà ieratica di divenire soggetto
mediatore delegato, gestore e nello stesso tempo controllore del potere
democraticamente appartenente ai cittadini.
La concreta partecipazione
del popolo al processo democratico non dovrebbe ridursi, come si sta di fatto
riducendo, alla espressione di generico consenso attraverso informali
manifestazioni di voto (banchetti o votazioni on line).
Sono solo fantasiose
illazioni o bisogna prendere in seria considerazione quanto ipoteticamente
sopra accennato?