lunedì 28 maggio 2018

Solo polemiche e niente governo


Si è prolungata oltre le aspettative la situazione di incertezza sulla possibilità di decollo di un nuovo governo politico che alla fine è rimasto a terra.

Dal punto di vista istituzionale è forse la prima volta che sorge un conflitto virulento tra il presidente della repubblica e i rappresentanti politici eletti dal popolo.

Motivo apparente dello scontro: la volontà, espressa dalla attuale maggioranza politica, di nominare quale ministro, responsabile della nostra finanza un tecnico, certamente esperto, il quale però si è spesso dichiarato in disaccordo con l’attuale normativa comunitaria, che limita le possibilità per gli stati di legiferare in campo economico, vincolando ogni possibile azione al rispetto di parametri ed indici prestabiliti e, a suo tempo, concordati.

Il presidente Mattarella, prestando quella che dallo stesso è considerata doverosa attenzione alle possibili reazioni dei mercati finanziari ed alle censure dell'establishment europeo, ha invitato i leader dei due partiti che formano la maggioranza a considerare se fosse possibile fare un passo indietro sul nominativo del nuovo ministro dell’economia.

Tale invito è stato respinto ed interpretato da alcuni come volontà di acquiescenza a presunti diktat dei partner europei che sarebbero da considerare colpevoli di voler interferire nel processo democratico, addirittura limitando gli stessi principi di sovranità nazionale e popolare, da ritenersi sacri ed inviolabili.

I media italiani e quelli di alcuni altri stati (in particolare i giornali tedeschi) hanno contribuito a rinfocolare vecchie e nuove polemiche al fine di aumentare la platea dei lettori.

Similmente i nostri politici, con dichiarazioni roboanti e prese di posizione estreme, hanno anch'essi polemizzato, forse troppo vivacemente, a fini propagandistici.

Dopo circa tre mesi dalle votazioni, dopo la sottoscrizione di un contratto di governo, dopo l’accordo della maggioranza sulla spartizione delle poltrone e dopo aver concordato il gradimento sui nominativi degli occupanti delle stesse, è alquanto assurdo dover ricominciare da capo e addirittura dover programmare nuove elezioni.

Sia i leader di maggioranza, sia il presidente della repubblica sono stati e sono ben consapevoli di rischiare veramente che l’Italia a causa del proprio altissimo debito pubblico, ma anche delle eccessive e virulente contrapposizioni politiche, possa essere considerata da ora in poi un paese insicuro, se non peggio, democraticamente immaturo.

In verità da tempo i cittadini comuni assistono inermi al progressivo disfacimento dello stesso stato italiano.

L’economia non cresce come dovrebbe, ma l’enorme debito accumulato negli anni non consente che si possa intervenire finanziando adeguatamente programmi di sviluppo principalmente miranti all'aumento del numero dei lavoratori e di conseguenza del PIL.

L’eccessivo peso e la sostanziale inefficienza dell’apparato burocratico gravano troppo su ogni iniziativa privata così come gli altissimi costi fiscali.

Le organizzazioni preposte (polizia, carabinieri ecc.), malgrado ogni sforzo operativo, non riescono ad assicurare un adeguato controllo del territorio, alimentando la sensazione di insicurezza di ciascuno.

In effetti è noto che molti comuni (del sud ed anche del nord) sono di fatto gestiti da amministratori notoriamente referenti di cupole più o meno delinquenziali (mafiose); si rammenta che di recente i media hanno ricordato che esiste addirittura una località dove da diversi anni nessuno ha il coraggio di presentarsi come candidato sindaco e/o amministratore per timore delle eventuali azioni della delinquenza locale e non si tengono elezioni.

Invece di sforzarsi per giungere alla creazione di un contratto di governo, oggetto di un accordo contenente anche argomenti non ben definiti, ma sicuramente velleitari, sarebbe forse stato più utile che i partiti che volevano raggiungere un accordo di maggioranza avessero utilizzato proprie idee ed energie per individuare organicamente gli estremi di una serie di riforme dello stato non più dilazionabili.

Si sarebbe potuto così ottenere, magari con poca spesa, che la migliorata snellezza e operatività di funzionamento dello stato favorissero gli investimenti dei privati, con il conseguente miglioramento dei parametri economici imposti dall'Europa al rispetto dei quali l’Italia si è a suo tempo impegnata.

Tralasciando la disamina delle reazioni più o meno polemiche che gli accadimenti descritti hanno suscitato, non è possibile non riconoscere che nell'attuale sistema di governo, europeo e mondiale, l’esercizio della democrazia è fortemente limitato da vincoli economici, che ovviamente favoriscono sviluppo e benessere dei cittadini dei paesi più ricchi.

Qualcuno potrebbe concludere che ogni azione, anche se formalmente e politicamente possibile, intrapresa per cercare di modificare seriamente l’attuale stato di fatto, sarebbe ostacolata e respinta quale temibile azione certamente RIVOLUZIONARIA dalle conseguenze dannose ed in parte imprevedibili.