Si è prolungata oltre le
aspettative la situazione di incertezza sulla possibilità di decollo di un
nuovo governo politico che alla fine è rimasto a terra.
Dal punto di vista
istituzionale è forse la prima volta che sorge un conflitto virulento tra il
presidente della repubblica e i rappresentanti politici eletti dal popolo.
Motivo apparente dello
scontro: la volontà, espressa dalla attuale maggioranza politica, di nominare
quale ministro, responsabile della nostra finanza un tecnico, certamente
esperto, il quale però si è spesso dichiarato in disaccordo con l’attuale normativa
comunitaria, che limita le possibilità per gli stati di legiferare in campo
economico, vincolando ogni possibile azione al rispetto di parametri ed indici
prestabiliti e, a suo tempo, concordati.
Il presidente Mattarella,
prestando quella che dallo stesso è considerata doverosa attenzione alle
possibili reazioni dei mercati finanziari ed alle censure dell'establishment
europeo, ha invitato i leader dei due partiti che formano la maggioranza a
considerare se fosse possibile fare un passo indietro sul nominativo del nuovo
ministro dell’economia.
Tale invito è stato
respinto ed interpretato da alcuni come volontà di acquiescenza a presunti
diktat dei partner europei che sarebbero da considerare colpevoli di voler
interferire nel processo democratico, addirittura limitando gli stessi principi
di sovranità nazionale e popolare, da ritenersi sacri ed inviolabili.
I media italiani e quelli
di alcuni altri stati (in particolare i giornali tedeschi) hanno contribuito a
rinfocolare vecchie e nuove polemiche al fine di aumentare la platea dei
lettori.
Similmente i nostri
politici, con dichiarazioni roboanti e prese di posizione estreme, hanno
anch'essi polemizzato, forse troppo vivacemente, a fini propagandistici.
Dopo circa tre mesi dalle
votazioni, dopo la sottoscrizione di un contratto di governo, dopo l’accordo
della maggioranza sulla spartizione delle poltrone e dopo aver concordato il
gradimento sui nominativi degli occupanti delle stesse, è alquanto assurdo dover
ricominciare da capo e addirittura dover programmare nuove elezioni.
Sia i leader di
maggioranza, sia il presidente della repubblica sono stati e sono ben
consapevoli di rischiare veramente che l’Italia a causa del proprio altissimo
debito pubblico, ma anche delle eccessive e virulente contrapposizioni
politiche, possa essere considerata da ora in poi un paese insicuro, se non
peggio, democraticamente immaturo.
In verità da tempo i
cittadini comuni assistono inermi al progressivo disfacimento dello stesso
stato italiano.
L’economia non cresce
come dovrebbe, ma l’enorme debito accumulato negli anni non consente che si
possa intervenire finanziando adeguatamente programmi di sviluppo
principalmente miranti all'aumento del numero dei lavoratori e di conseguenza
del PIL.
L’eccessivo peso e la
sostanziale inefficienza dell’apparato burocratico gravano troppo su ogni
iniziativa privata così come gli altissimi costi fiscali.
Le organizzazioni
preposte (polizia, carabinieri ecc.), malgrado ogni sforzo operativo, non
riescono ad assicurare un adeguato controllo del territorio, alimentando la
sensazione di insicurezza di ciascuno.
In effetti è noto che
molti comuni (del sud ed anche del nord) sono di fatto gestiti da amministratori
notoriamente referenti di cupole più o meno delinquenziali (mafiose); si
rammenta che di recente i media hanno ricordato che esiste addirittura una
località dove da diversi anni nessuno ha il coraggio di presentarsi come
candidato sindaco e/o amministratore per timore delle eventuali azioni della
delinquenza locale e non si tengono elezioni.
Invece di sforzarsi per
giungere alla creazione di un contratto di governo, oggetto di un accordo
contenente anche argomenti non ben definiti, ma sicuramente velleitari, sarebbe
forse stato più utile che i partiti che volevano raggiungere un accordo di
maggioranza avessero utilizzato proprie idee ed energie per individuare
organicamente gli estremi di una serie di riforme dello stato non più
dilazionabili.
Si sarebbe potuto così
ottenere, magari con poca spesa, che la migliorata snellezza e operatività di
funzionamento dello stato favorissero gli investimenti dei privati, con il
conseguente miglioramento dei parametri economici imposti dall'Europa al rispetto
dei quali l’Italia si è a suo tempo impegnata.
Tralasciando la disamina
delle reazioni più o meno polemiche che gli accadimenti descritti hanno
suscitato, non è possibile non riconoscere che nell'attuale sistema di governo,
europeo e mondiale, l’esercizio della democrazia è fortemente limitato da
vincoli economici, che ovviamente favoriscono sviluppo e benessere dei
cittadini dei paesi più ricchi.
Qualcuno potrebbe
concludere che ogni azione, anche se formalmente e politicamente possibile,
intrapresa per cercare di modificare seriamente l’attuale stato di fatto,
sarebbe ostacolata e respinta quale temibile azione certamente RIVOLUZIONARIA
dalle conseguenze dannose ed in parte imprevedibili.