lunedì 25 giugno 2018

problema migranti risolto o rinviato?


Ormai da moltissimi giorni si sta assistendo al nuovo (vecchio) spettacolo imperniato sulle avventure o meglio disavventure dei (soliti) migranti. Il nuovo governo sarà in grado di risolvere il problema?

I protagonisti (ministri, capi di stato, politici di opposte fazioni) approfittano della risuonante grancassa dei media per esprimere e propagandare le loro, apparentemente diverse, idee in merito alla necessità di risolvere il problema dell’accoglienza nei confronti degli innumerevoli profughi.

Questi, provenienti da paesi africani e mediorientali, premono ai confini dell’Europa e cercano di varcarne le frontiere nella speranza di poter ricominciare una nuova e più serena vita che è di fatto in pericolo nei loro paesi di origine, afflitti da carestie, conflitti tribali e liberticidi, dittature sanguinarie e simili.

Preoccupa innanzitutto gli italiani il fatto che vi sono potenzialmente alcuni milioni di persone disposte a mettere in gioco la stessa vita nel tentativo di varcare i nostri confini, come detto, nella speranza di ottenere una esistenza più consona alla loro dignità di esseri umani.

Preoccupa il fatto che gli stessi profughi sono portatori di istanze ideologiche, religiose e culturali diverse (talvolta opposte) da quelle comuni a tutti i cittadini delle nazioni europee.

Preoccupa, forse ancora di più, il fatto che l’Italia è da alcuni anni afflitta da una crisi economica che ne rallenta lo sviluppo e questo ha creato una moltitudine di soggetti disagiati, inoccupati e quindi privi di sufficienti capacità di reddito, che dovrebbero essi stessi essere aiutati e sostenuti, così come parimenti si dovrebbe fare in favore dei migranti accolti.

Molti italiani reputano eccessivo il numero degli stranieri ad oggi ospitati (circa seicentomila) rispetto alle attuali (e potenziali) capacità economiche della loro nazione e il ministro degli interni Matteo Salvini ha apertamente dichiarato di essere in perfetto accordo con tale opinione e sta cercando di agire per ottenere un rallentamento dei flussi migratori verso l’Italia.

Nella speranza di poter limitare tali flussi lo stesso ministro Salvini ha in pratica operato proibendo l’accesso e l’attracco ai porti italiani delle navi appartenenti alle organizzazioni non governative.

Queste ultime da tempo si sono dedicate a salvare in mare uomini, donne e bambini, che cercando di attraversare il Mediterraneo ammassati a bordo di troppo vecchi e malconci battelli o gommoni, ben presto si tramutavano da profughi in naufraghi.

Senza addentrarsi in particolari tecnico giuridici, si osserva che per la legge del mare sussiste l’obbligo di soccorrere i naufraghi e quindi di portarli in salvo nel porto sicuro più vicino al luogo di salvataggio.

Indipendentemente dal punto in cui si operavano i salvataggi e nonostante la esistenza di porti sicuri più vicini, prima del divieto di attracco, voluto dal nostro ministro degli interni, tutte le navi di salvataggio delle ONG (non battenti bandiera italiana) hanno sempre sbarcato i naufraghi-profughi in porti italiani, anche quando le operazioni di salvataggio non erano state coordinate e dirette dai competenti appositi organismi italiani o comunitari.

Il fatto che i soccorritori delle ONG operino in genere i loro interventi assai vicino alle coste africane da cui partono i migranti e che le condizioni dei battelli forniti ai profughi dai cosiddetti scafisti, siano assolutamente inadatte a compiere l’intera traversata Africa - Italia, ha lasciato e lascia presupporre che ci sia o comunque ci sia stato un tacito (od esplicito) concorso tra chi vuole salvare e chi vuole essere salvato.

Quanto sopra illustrato non ha nulla a che vedere con la successiva questione dell’obbligo di accoglienza di chi ne ha diritto, regolata da varie norme e da un vecchio trattato europeo (quello di Dublino) nonché da accordi relativi alla ricollocazione dei profughi tra i partner europei.

L’Italia per la sua posizione geografica e per i suoi ottomila kilometri di coste è comunque la meta più gettonata da chi vuole entrare in qualche modo (non ufficialmente) in territorio europeo e si lamenta perché costretta dalle attuali leggi a sopportare quasi per intero il flusso migratorio (anche quella parte formata da coloro che non desiderano restare, ma vorrebbero solo transitare in quanto diretti in altri paesi).

In merito, proprio a seguito dei recenti provvedimenti di blocco dei porti e di più o meno velate minacce di ordine economico, consistenti nel non pagare i venti miliardi del contributo dall'Italia dovuto per il funzionamento delle istituzioni europee, si sono aperti nuovi tavoli di negoziazione: quali saranno i risultati?

È facile prevedere che a breve si creerà un sistema di blocco simile a quello che, grazie al pagamento di alcuni miliardi di Euro alla Turchia, ha impedito le migrazioni che nel loro itinerario attraversavano il mare tra le coste turche e quelle greche.

Verranno istituiti nuovi campi profughi in Libia (già il precedente governo ha agito in tal modo, quasi nascostamente, ottenendo una diminuzione dei flussi da tale paese), forse anche in Tunisia o in altri paesi nord africani.

Verrà propagandato come soluzione, purtroppo a lungo, anzi lunghissimo termine un incremento dei fondi disponibili per lo sviluppo e la cooperazione nei paesi sottosviluppati del continente nero. 

Si procederà, se necessario, a predisporre un blocco navale a difesa delle coste comunitarie.

Manca all'appello delle possibilità di azione, al limite prevedibili, solo il richiamo (sotto sotto sempre suadente) alla vecchia politica delle cannoniere atta ad eliminare materialmente e definitivamente ogni problema, anche perché i nuovi campi profughi che dovessero sorgere in paesi nord africani non saranno distanti dalle linee costiere.

Speriamo che in ogni caso tutte le decisioni e le azioni che verranno intraprese rispetteranno, almeno in buona parte, i principi etici, umanitari e di fratellanza posti a base delle società (cosiddette) civili.