Ormai da moltissimi
giorni si sta assistendo al nuovo (vecchio) spettacolo imperniato sulle
avventure o meglio disavventure dei (soliti) migranti. Il nuovo governo sarà in grado di risolvere il problema?
I protagonisti (ministri,
capi di stato, politici di opposte fazioni) approfittano della risuonante grancassa
dei media per esprimere e propagandare le loro, apparentemente diverse, idee in
merito alla necessità di risolvere il problema dell’accoglienza nei confronti degli
innumerevoli profughi.
Questi, provenienti da
paesi africani e mediorientali, premono ai confini dell’Europa e cercano di
varcarne le frontiere nella speranza di poter ricominciare una nuova e più
serena vita che è di fatto in pericolo nei loro paesi di origine, afflitti da
carestie, conflitti tribali e liberticidi, dittature sanguinarie e simili.
Preoccupa innanzitutto gli
italiani il fatto che vi sono potenzialmente alcuni milioni di persone disposte
a mettere in gioco la stessa vita nel tentativo di varcare i nostri confini, come
detto, nella speranza di ottenere una esistenza più consona alla loro dignità
di esseri umani.
Preoccupa il fatto che gli
stessi profughi sono portatori di istanze ideologiche, religiose e culturali
diverse (talvolta opposte) da quelle comuni a tutti i cittadini delle nazioni
europee.
Preoccupa, forse ancora di
più, il fatto che l’Italia è da alcuni anni afflitta da una crisi economica che
ne rallenta lo sviluppo e questo ha creato una moltitudine di soggetti
disagiati, inoccupati e quindi privi di sufficienti capacità di reddito, che
dovrebbero essi stessi essere aiutati e sostenuti, così come parimenti si
dovrebbe fare in favore dei migranti accolti.
Molti italiani reputano
eccessivo il numero degli stranieri ad oggi ospitati (circa seicentomila)
rispetto alle attuali (e potenziali) capacità economiche della loro nazione e
il ministro degli interni Matteo Salvini ha apertamente dichiarato di essere in
perfetto accordo con tale opinione e sta cercando di agire per ottenere un
rallentamento dei flussi migratori verso l’Italia.
Nella speranza di poter
limitare tali flussi lo stesso ministro Salvini ha in pratica operato proibendo
l’accesso e l’attracco ai porti italiani delle navi appartenenti alle
organizzazioni non governative.
Queste ultime da tempo si
sono dedicate a salvare in mare uomini, donne e bambini, che cercando di
attraversare il Mediterraneo ammassati a bordo di troppo vecchi e malconci
battelli o gommoni, ben presto si tramutavano da profughi in naufraghi.
Senza addentrarsi in
particolari tecnico giuridici, si osserva che per la legge del mare sussiste
l’obbligo di soccorrere i naufraghi e quindi di portarli in salvo nel porto
sicuro più vicino al luogo di salvataggio.
Indipendentemente dal
punto in cui si operavano i salvataggi e nonostante la esistenza di porti
sicuri più vicini, prima del divieto di attracco, voluto dal nostro ministro
degli interni, tutte le navi di salvataggio delle ONG (non battenti bandiera
italiana) hanno sempre sbarcato i naufraghi-profughi in porti italiani, anche
quando le operazioni di salvataggio non erano state coordinate e dirette dai
competenti appositi organismi italiani o comunitari.
Il fatto che i
soccorritori delle ONG operino in genere i loro interventi assai vicino alle
coste africane da cui partono i migranti e che le condizioni dei battelli forniti
ai profughi dai cosiddetti scafisti, siano assolutamente inadatte a compiere
l’intera traversata Africa - Italia, ha lasciato e lascia presupporre che ci
sia o comunque ci sia stato un tacito (od esplicito) concorso tra chi vuole
salvare e chi vuole essere salvato.
Quanto sopra illustrato
non ha nulla a che vedere con la successiva questione dell’obbligo di
accoglienza di chi ne ha diritto, regolata da varie norme e da un vecchio
trattato europeo (quello di Dublino) nonché da accordi relativi alla
ricollocazione dei profughi tra i partner europei.
L’Italia per la sua
posizione geografica e per i suoi ottomila kilometri di coste è comunque la
meta più gettonata da chi vuole entrare in qualche modo (non ufficialmente) in
territorio europeo e si lamenta perché costretta dalle attuali leggi a
sopportare quasi per intero il flusso migratorio (anche quella parte formata da
coloro che non desiderano restare, ma vorrebbero solo transitare in quanto
diretti in altri paesi).
In merito, proprio a
seguito dei recenti provvedimenti di blocco dei porti e di più o meno velate
minacce di ordine economico, consistenti nel non pagare i venti miliardi del
contributo dall'Italia dovuto per il funzionamento delle istituzioni europee,
si sono aperti nuovi tavoli di negoziazione: quali saranno i risultati?
È facile prevedere che a
breve si creerà un sistema di blocco simile a quello che, grazie al pagamento
di alcuni miliardi di Euro alla Turchia, ha impedito le migrazioni che nel loro
itinerario attraversavano il mare tra le coste turche e quelle greche.
Verranno istituiti nuovi
campi profughi in Libia (già il precedente governo ha agito in tal modo, quasi
nascostamente, ottenendo una diminuzione dei flussi da tale paese), forse anche
in Tunisia o in altri paesi nord africani.
Verrà propagandato come
soluzione, purtroppo a lungo, anzi lunghissimo termine un incremento dei fondi
disponibili per lo sviluppo e la cooperazione nei paesi sottosviluppati del
continente nero.
Si procederà, se
necessario, a predisporre un blocco navale a difesa delle coste comunitarie.
Manca all'appello delle
possibilità di azione, al limite prevedibili, solo il richiamo (sotto sotto
sempre suadente) alla vecchia politica delle cannoniere atta ad eliminare
materialmente e definitivamente ogni problema, anche perché i nuovi campi
profughi che dovessero sorgere in paesi nord africani non saranno distanti
dalle linee costiere.
Speriamo che in ogni caso
tutte le decisioni e le azioni che verranno intraprese rispetteranno, almeno in
buona parte, i principi etici, umanitari e di fratellanza posti a base delle
società (cosiddette) civili.