martedì 10 luglio 2018

Europa, madre che accoglie o matrigna?


Le azioni del governo ed in special modo del nuovo ministro degli interni, illustrate nella precedente nota (azioni del nuovo governo) che intendevano sollecitare una qualche soluzione al problema dei migranti, hanno contribuito a porre tale argomento come questione primaria ed oggetto di discussione nella riunione dei capi di governo comunitari che si è tenuta a fine giugno.

In realtà non sembra che sia stato deciso alcunché di veramente nuovo ed opportuno:
Il vecchio accordo di Dublino, di cui l’Italia si lamentava, non è stato modificato, si è solo deciso di discuterne fra qualche tempo.
La creazione di nuovi centri di accoglienza ed identificazione è stata riconosciuta necessaria, ma solo su base volontaria le varie nazioni potranno decidersi a costruirli e questo indipendentemente dal fatto che la provvista economica per la loro edificazione e il loro funzionamento sia garantita da contributi comunitari o meno.
Non appare plausibile che, senza essere obbligati da una adeguata normativa (comunitaria) e dalle relative sanzioni, altri paesi si offrano di costruire tali centri di accoglienza aprendo le frontiere a coloro che ne dovrebbero usufruire.
Consideriamo che fino ad oggi molti partner europei hanno rifiutato di accogliere non solo le masse di migranti, ma anche i piccoli gruppi di costoro che volevano solo attraversare il loro territorio nazionale per recarsi altrove.
Consideriamo altresì che si è anche discusso sul fatto che i migranti, accolti ed identificati in un determinato paese europeo e che si spostano in ambito comunitario, secondo le istanze di alcuni governi, dovrebbero essere costretti a rientrare nel paese di prima accoglienza.
Ne deriva che il problema dei cinque o seicento mila individui provenienti da vari paesi africani e/o mediorientali che stanziano nel nostro paese resta pertanto assolutamente lo stesso.
Il principio della frontiera unica europea per il quale (ad esempio) chi proviene da un paese extracomunitario ed entra in Italia è in realtà entrato in Europa, non sembra affatto applicato o applicabile.
Da qualche tempo, in verità, è notevolmente diminuito il numero dei cosiddetti profughi che tentano di attraversare il Mediterraneo, stipati in vecchi e malconci gommoni, per raggiungere dalle coste africane quelle europee (in particolare quelle italiane).
Non illudiamoci che possa esserci in assoluto una riduzione nel numero dei migranti che potenzialmente, ad oggi, sono stimati in ben sessanta milioni di individui.
Come si è detto, i gommoni utilizzati per traghettare i profughi non sono quasi mai stati in grado di attraversare il mediterraneo, ma erano destinati a naufragare dopo poche miglia dalla costa di partenza (normalmente la Libia) ed i naufraghi, salvati da navi di varie nazioni ed ONG, venivano in seguito sbarcati in porti italiani.
Oggi, grazie alla generosa donazione di un paio di decine di motovedette fatta alla marina militare libica questa può intervenire in tempo per soccorrere gli uomini, donne e bambini, che rischiano di affogare a poche miglia dalle proprie coste.
Di fatto la Libia, sia pure non ufficialmente, ha di nuovo la gestione di un tratto di mare nel quale la stessa può esercitare azioni di ricerca e soccorso.
Una volta soccorsi, i migranti, come da accordi presi con l’Italia ed altri paesi europei, sono trasportati in idonei (meglio inidonei) centri di detenzione da noi comunque finanziati con una indeterminata somma che non appare sia stata oggetto di chiara, aperta e mirata discussione politica.
Ci si ripromette di spiegare meglio il percorso di tali finanziamenti per lo più mascherati (per pudore) come somme ufficialmente destinate ad azioni di assistenza tecnica ed istruzione del personale militare od altro.
Il divieto di attracco delle navi delle ONG nei porti italiani e l’insieme delle azioni, come sopra descritte, hanno comunque ridotto le possibilità operative dei veri e propri mercanti di schiavi, che detengono di fatto il controllo degli itinerari percorsi dai profughi, ma non ci si illuda di averli fermati del tutto.
Tra non molto si ricominceranno ad usare, per il trasporto dei clandestini, imbarcazioni diverse (vecchi pescherecci, lance a motore e a vela in legno ecc.) in grado di allontanarsi di più dalle coste libiche fino a raggiungere le zone di ricerca e soccorso gestite da altri paesi ove le stesse motovedette libiche non potranno intervenire.
In effetti gli ultimi 106 (centosei) naufraghi che hanno raggiunto l’Italia sono stati salvati da una nave militare irlandese quando avevano già raggiunto la zona di ricerca e soccorso di competenza delle autorità maltesi.
Staremo a vedere!