Le azioni del governo ed in
special modo del nuovo ministro degli interni, illustrate nella precedente nota
(azioni del nuovo governo) che intendevano sollecitare una qualche
soluzione al problema dei migranti, hanno contribuito a porre tale argomento
come questione primaria ed oggetto di discussione nella riunione dei capi di
governo comunitari che si è tenuta a fine giugno.
In realtà non sembra che sia
stato deciso alcunché di veramente nuovo ed opportuno:
Il vecchio accordo di Dublino,
di cui l’Italia si lamentava, non è stato modificato, si è solo deciso di
discuterne fra qualche tempo.
La creazione di nuovi centri di
accoglienza ed identificazione è stata riconosciuta necessaria, ma solo su base
volontaria le varie nazioni potranno decidersi a costruirli e questo
indipendentemente dal fatto che la provvista economica per la loro edificazione
e il loro funzionamento sia garantita da contributi comunitari o meno.
Non appare plausibile che,
senza essere obbligati da una adeguata normativa (comunitaria) e dalle relative
sanzioni, altri paesi si offrano di costruire tali centri di accoglienza
aprendo le frontiere a coloro che ne dovrebbero usufruire.
Consideriamo che fino ad oggi
molti partner europei hanno rifiutato di accogliere non solo le masse di
migranti, ma anche i piccoli gruppi di costoro che volevano solo attraversare
il loro territorio nazionale per recarsi altrove.
Consideriamo altresì che si è
anche discusso sul fatto che i migranti, accolti ed identificati in un
determinato paese europeo e che si spostano in ambito comunitario, secondo le
istanze di alcuni governi, dovrebbero essere costretti a rientrare nel paese di
prima accoglienza.
Ne deriva che il problema dei
cinque o seicento mila individui provenienti da vari paesi africani e/o
mediorientali che stanziano nel nostro paese resta pertanto assolutamente lo
stesso.
Il principio della frontiera
unica europea per il quale (ad esempio) chi proviene da un paese
extracomunitario ed entra in Italia è in realtà entrato in Europa, non sembra
affatto applicato o applicabile.
Da qualche tempo, in verità, è
notevolmente diminuito il numero dei cosiddetti profughi che tentano di
attraversare il Mediterraneo, stipati in vecchi e malconci gommoni, per
raggiungere dalle coste africane quelle europee (in particolare quelle
italiane).
Non illudiamoci che possa esserci
in assoluto una riduzione nel numero dei migranti che potenzialmente, ad oggi,
sono stimati in ben sessanta milioni di individui.
Come si è detto, i gommoni utilizzati
per traghettare i profughi non sono quasi mai stati in grado di attraversare il
mediterraneo, ma erano destinati a naufragare dopo poche miglia dalla costa di
partenza (normalmente la Libia) ed i naufraghi, salvati da navi di varie
nazioni ed ONG, venivano in seguito sbarcati in porti italiani.
Oggi, grazie alla generosa donazione
di un paio di decine di motovedette fatta alla marina militare libica questa
può intervenire in tempo per soccorrere gli uomini, donne e bambini, che
rischiano di affogare a poche miglia dalle proprie coste.
Di fatto la Libia, sia pure non
ufficialmente, ha di nuovo la gestione di un tratto di mare nel quale la stessa
può esercitare azioni di ricerca e soccorso.
Una volta soccorsi, i migranti,
come da accordi presi con l’Italia ed altri paesi europei, sono trasportati in
idonei (meglio inidonei) centri di detenzione da noi comunque finanziati con
una indeterminata somma che non appare sia stata oggetto di chiara, aperta e
mirata discussione politica.
Ci si ripromette di spiegare
meglio il percorso di tali finanziamenti per lo più mascherati (per pudore)
come somme ufficialmente destinate ad azioni di assistenza tecnica ed
istruzione del personale militare od altro.
Il divieto di attracco delle
navi delle ONG nei porti italiani e l’insieme delle azioni, come sopra
descritte, hanno comunque ridotto le possibilità operative dei veri e propri
mercanti di schiavi, che detengono di fatto il controllo degli itinerari
percorsi dai profughi, ma non ci si illuda di averli fermati del tutto.
Tra non molto si ricominceranno
ad usare, per il trasporto dei clandestini, imbarcazioni diverse (vecchi pescherecci,
lance a motore e a vela in legno ecc.) in grado di allontanarsi di più dalle
coste libiche fino a raggiungere le zone di ricerca e soccorso gestite da altri
paesi ove le stesse motovedette libiche non potranno intervenire.
In effetti gli ultimi 106
(centosei) naufraghi che hanno raggiunto l’Italia sono stati salvati da una
nave militare irlandese quando avevano già raggiunto la zona di ricerca e
soccorso di competenza delle autorità maltesi.
Staremo a vedere!