Cerchiamo di riassumere
le vicende libiche delle quali le cronache di questi giorni si sono ampiamente
occupate.
Come al solito senza illustrare a sufficienza le reali motivazioni
che hanno provocato i conflitti tra opposte fazioni e senza approfondire i
motivi per cui l’Italia debba paventare addirittura un coinvolgimento diretto
negli scontri armati (peraltro al momento escluso a priori dai nostri
governanti).
Per comprendere gli
eventi recenti bisogna innanzitutto chiarire che tutto quanto è avvenuto ed
avviene in Libia ha una sola principale motivazione: il petrolio ed i profitti
derivanti dallo sfruttamento dei pozzi esistenti e di quelli, che secondo le
prospezioni geologiche eseguite, potrebbero ancora essere sfruttati.
È chiaro che fino a pochi
anni or sono il famigerato leader libico Gheddafi era riuscito a gestire (non
ad unificare) tutte le varie tribù che da sempre abitano quei territori per lo
più desertici.
È chiaro inoltre che per
imporre la propria supremazia a tutte le varie decine di etnie, gelose delle
loro tradizioni e indipendenza, lo stesso leader aveva agito con metodi
particolarmente cruenti, instaurando un regime che si reggeva sul timore che il
Rais (capo) incuteva sui sudditi.
Il solo uso della forza
non avrebbe consentito a Gheddafi di governare così a lungo ed infatti, per
moderare l’opposizione interna, lo stesso dittatore aveva sempre provveduto a
distribuire, in oculata proporzione tra vari capi delle milizie locali ed
anziani, i proventi della vendita del petrolio libico ai paesi europei.
Questo regime che
potremmo definire semplicisticamente del bastone e della carota sarebbe potuto
durare ancora a lungo, se non fosse sorto un conflitto prettamente economico
tra l’autorità libica per il petrolio e le società (per lo più europee) che
estraevano e/o raffinavano in territorio libico.
Di fatto è sorto ad un
certo punto un contenzioso in merito alle somme che, in proporzione maggiore la
Francia, ma anche Inghilterra, Italia e altri pagavano per i barili o metri cubi
di gas estratti e che il regime voleva fossero adeguatamente aumentate per
consentirgli di attuare vari programmi di sviluppo, che avrebbero portato ad un
miglioramento delle infrastrutture (autostrade, porto ed aeroporto di Tripoli,
approdi turistici ecc.) e ad un conseguente effettivo progresso civile.
Si trattava e si tratta
ancora oggi e specialmente, come detto, per la Francia di enormi cifre e
pertanto i paesi che avevano tali interessi economici hanno determinato di
intervenire con l’uso delle armi per abbattere il regime di Gheddafi.
Non potendo ovviamente
procedere a gestire direttamente lo stato libico, privato della propria dirigenza,
i paesi interventisti, vista la impossibilità di individuare un unico
indiscusso personaggio, sufficientemente forte e competente per poter mantenere
sotto un unico governante il territorio, si sono dovuti limitare ad appoggiare
quelli che sembravano i rappresentanti delle tribù più influenti ed in grado di
mantenere l’ordine nel caos succeduto al crollo del regime.
Senza esaminare a fondo
le motivazioni e circostanze che hanno inevitabilmente portato alla odierna
situazione (bisognerebbe scrivere un ponderoso libro), diamo per scontato che
attualmente il territorio di quella che un tempo era la Libia è suddiviso in tre
(protettorati o comunque territori indipendenti):
il primo comprende la
Cirenaica ed altre porzioni di territorio limitrofo ed è retto dal generale
Haftar,
il secondo che comprende
il territorio ad ovest, la capitale Tripoli, ed altro, che è retto da un governo
riconosciuto in teoria come legittimo dall’ONU, con a capo il leader Serraj,
infine una terza porzione
di territorio, non ben definito nei confini, comprendente una vasta zona più a
sud e apparentemente meno ricca di materie prime che sembra divisa tra numerose
piccole tribù ed influenzata dalla presenza di gruppi di fondamentalisti
islamici e di terroristi.
Anche questo ultimo
territorio viene peraltro attenzionato dai paesi interessati per i soliti
motivi economici e non per altro, come dichiarato, vista la presenza nel
sottosuolo di numerose materie prime, tra cui forse sarebbe particolarmente e
strategicamente importante l’uranio.
La attuale situazione di
contrasto tra le varie fazioni è facilmente spiegabile con il fatto che a
comandare ci sono di fatto due leader (Serraj ed Haftar) e che la suddivisione,
con gli altri gruppi, dei proventi petroliferi può essere fatta dopo aver
soddisfatto le esigenze di due leader e dei propri accoliti e non di uno solo,
come avveniva prima.
Sorge inoltre il dubbio
che le multinazionali impegnate a coltivare i vari giacimenti possano aver
approfittato della situazione, definiamola di incertezza governativa, per
implementare, magari attraverso il fenomeno della corruzione (già in precedenza
abbastanza evidente) i propri profitti, a scapito dei diritti e delle tasche
del popolo libico.