sabato 8 settembre 2018

LIBIA e ITALIA


Cerchiamo di riassumere le vicende libiche delle quali le cronache di questi giorni si sono ampiamente occupate.

Come al solito senza illustrare a sufficienza le reali motivazioni che hanno provocato i conflitti tra opposte fazioni e senza approfondire i motivi per cui l’Italia debba paventare addirittura un coinvolgimento diretto negli scontri armati (peraltro al momento escluso a priori dai nostri governanti).


Per comprendere gli eventi recenti bisogna innanzitutto chiarire che tutto quanto è avvenuto ed avviene in Libia ha una sola principale motivazione: il petrolio ed i profitti derivanti dallo sfruttamento dei pozzi esistenti e di quelli, che secondo le prospezioni geologiche eseguite, potrebbero ancora essere sfruttati.

È chiaro che fino a pochi anni or sono il famigerato leader libico Gheddafi era riuscito a gestire (non ad unificare) tutte le varie tribù che da sempre abitano quei territori per lo più desertici.

È chiaro inoltre che per imporre la propria supremazia a tutte le varie decine di etnie, gelose delle loro tradizioni e indipendenza, lo stesso leader aveva agito con metodi particolarmente cruenti, instaurando un regime che si reggeva sul timore che il Rais (capo) incuteva sui sudditi.

Il solo uso della forza non avrebbe consentito a Gheddafi di governare così a lungo ed infatti, per moderare l’opposizione interna, lo stesso dittatore aveva sempre provveduto a distribuire, in oculata proporzione tra vari capi delle milizie locali ed anziani, i proventi della vendita del petrolio libico ai paesi europei.

Questo regime che potremmo definire semplicisticamente del bastone e della carota sarebbe potuto durare ancora a lungo, se non fosse sorto un conflitto prettamente economico tra l’autorità libica per il petrolio e le società (per lo più europee) che estraevano e/o raffinavano in territorio libico.

Di fatto è sorto ad un certo punto un contenzioso in merito alle somme che, in proporzione maggiore la Francia, ma anche Inghilterra, Italia e altri pagavano per i barili o metri cubi di gas estratti e che il regime voleva fossero adeguatamente aumentate per consentirgli di attuare vari programmi di sviluppo, che avrebbero portato ad un miglioramento delle infrastrutture (autostrade, porto ed aeroporto di Tripoli, approdi turistici ecc.) e ad un conseguente effettivo progresso civile.

Si trattava e si tratta ancora oggi e specialmente, come detto, per la Francia di enormi cifre e pertanto i paesi che avevano tali interessi economici hanno determinato di intervenire con l’uso delle armi per abbattere il regime di Gheddafi.

Non potendo ovviamente procedere a gestire direttamente lo stato libico, privato della propria dirigenza, i paesi interventisti, vista la impossibilità di individuare un unico indiscusso personaggio, sufficientemente forte e competente per poter mantenere sotto un unico governante il territorio, si sono dovuti limitare ad appoggiare quelli che sembravano i rappresentanti delle tribù più influenti ed in grado di mantenere l’ordine nel caos succeduto al crollo del regime.

Senza esaminare a fondo le motivazioni e circostanze che hanno inevitabilmente portato alla odierna situazione (bisognerebbe scrivere un ponderoso libro), diamo per scontato che attualmente il territorio di quella che un tempo era la Libia è suddiviso in tre (protettorati o comunque territori indipendenti):
il primo comprende la Cirenaica ed altre porzioni di territorio limitrofo ed è retto dal generale Haftar,
il secondo che comprende il territorio ad ovest, la capitale Tripoli, ed altro, che è retto da un governo riconosciuto in teoria come legittimo dall’ONU, con a capo il leader Serraj,
infine una terza porzione di territorio, non ben definito nei confini, comprendente una vasta zona più a sud e apparentemente meno ricca di materie prime che sembra divisa tra numerose piccole tribù ed influenzata dalla presenza di gruppi di fondamentalisti islamici e di terroristi.

Anche questo ultimo territorio viene peraltro attenzionato dai paesi interessati per i soliti motivi economici e non per altro, come dichiarato, vista la presenza nel sottosuolo di numerose materie prime, tra cui forse sarebbe particolarmente e strategicamente importante l’uranio.

La attuale situazione di contrasto tra le varie fazioni è facilmente spiegabile con il fatto che a comandare ci sono di fatto due leader (Serraj ed Haftar) e che la suddivisione, con gli altri gruppi, dei proventi petroliferi può essere fatta dopo aver soddisfatto le esigenze di due leader e dei propri accoliti e non di uno solo, come avveniva prima.

Sorge inoltre il dubbio che le multinazionali impegnate a coltivare i vari giacimenti possano aver approfittato della situazione, definiamola di incertezza governativa, per implementare, magari attraverso il fenomeno della corruzione (già in precedenza abbastanza evidente) i propri profitti, a scapito dei diritti e delle tasche del popolo libico.