lunedì 22 ottobre 2018

Problemi politici e di soldi


Da qualche giorno le notizie diffuse dai media non sembrano certo rassicurare i cittadini italiani, sia che si riferiscano alla compattezza e tenuta politica dell’attuale governo, sia che commentino le sempre più preoccupanti e continue variazioni in negativo dei parametri che dovrebbero misurare la salute della nostra economia (pubblica e non).

Si sta svolgendo una vera e propria guerra tra finanza e politica che dovrebbe farci alla fine capire se l’una potrà prevalere sull’altra o viceversa.
Una certa lobby economica (europea ed internazionale) vuole vincere e piegare ai propri desiderata la volontà politica degli italiani mentre i nostri governanti mantengono le loro posizioni, nel convincimento che un eventuale tracollo del nostro paese causerebbe anche alle altre nazioni eccessivi oneri.
Per quanto ci è dato capire dai report dei soliti media sembra quasi che si stia assistendo ad una partita a poker, giocata tra il governo italiano e in pratica tutti i rappresentanti degli altri stati comunitari (e non).
Un’altra partita, ben più seria, è quella che coinvolge la nostra nazione ed i cosiddetti mercati finanziari che al momento sembra vedere questi ultimi avviati verso una non impossibile vittoria.
Cerchiamo di esaminare i numeri e la realtà:
-       Ad oggi, per i recenti avvenimenti dovuti all’azione delle varie lobby finanziarie, si è avuta una notevole perdita del valore di capitalizzazione delle azioni delle nostre società quotate in borsa
-       Parimenti, a causa dell’aumento del famigerato spread si sono dovuti pagare maggiori interessi sui circa quaranta miliardi di titoli di debito che ogni mese, o quasi, il nostro paese deve emettere e vendere per rinnovare e sostenere il debito accumulato nel tempo.
-       La perdita totale del valore capitalizzato ed i maggiori oneri finanziari hanno già diminuito la consistenza del patrimonio attivo degli italiani per circa settanta miliardi.
A fronte di tale importo, di fatto già pagato dai cittadini risparmiatori, si pone la previsione fatta dai nostri politici di voler spendere attraverso la manovra finanziaria prevista nel DEF circa quaranta miliardi per realizzare alcuni punti del contratto di governo.
In pratica se si fossero reperiti questi quaranta miliardi, ad esempio semplicemente attraverso una maggiore imposizione sui titoli azionari, gli italiani (o almeno quelli che sono azionisti risparmiatori) avrebbero perso, ma già risparmiato e/o comunque limitato le loro attuali perdite.
Ovviamente, così operando, qualsiasi governo avrebbe scatenato un immenso dibattito di natura politica, visto anche che in sede programmatica si è sempre detto da parte di tutti i partiti (maggioranza ed opposizione) che le tasse ed imposte devono scendere se si vuole incrementare lo sviluppo dell’economia.
Teoricamente invero la attuale perdita di valore dei titoli di borsa potrebbe essere compensata da futuri aumenti, ma dopo una così evidente discesa delle quotazioni ci vogliono tempi lunghi perché si possa verificare una effettiva ripresa.
Il nocciolo di tutti i problemi economici della nostra Italia è rappresentato dalla enorme quantità del debito pubblico accumulato negli anni che ammonta a più di duemila miliardi ed al rapporto deficit – Pil che arriva a più del 130%.
Se non si diminuiscono le spese o se non si aumenta il PIL (entrambi in maniera consistente) presto i cittadini saranno chiamati a sostenere maggiori esborsi per tamponare una situazione fallimentare.
Allo scopo di essere meglio apprezzati dalla finanza internazionale e per nostra tranquillità si dovrebbero ridurre di almeno un 20% annuo le spese per il funzionamento del carrozzone burocratico – amministrativo statale ed aumentare di almeno due punti percentuali annui il nostro prodotto interno lordo.
I risparmi previsti dal DEF e gli aumenti teorici di PIL ipotizzati non sono comunque sufficienti a risolvere tutti i problemi del nostro paese.
Nel contratto di governo, che rappresenta la base su cui si regge l’attuale maggioranza politica, si è inoltre chiaramente prevista la necessità di operare per diminuire il disagio sociale dovuto alla presenza tra i cittadini di una moltitudine di individui che vivono, o meglio sopravvivono, ai margini di quella che è definita soglia di povertà.
Una parte della manovra economica programmata prevede spese (una decina di miliardi) per interventi di tipo sociale destinati a migliorare le condizioni degli indigenti e non è ben chiaro quanto affermato dal governo in merito alla possibilità che tali spese possano contribuire alla crescita reale del PIL.
Neppure è certo che il ripristino della possibilità di andare in pensione prima di quanto previsto dalle attuali norme possa incidere rapidamente e sensibilmente sul mercato del lavoro, specie se si considera che chi deciderà di pensionarsi subito godrà di una pensione ridotta e che si potrà verificare solo a posteriori quale sarà la mole del conseguente turn over.
Nel frattempo un vero snellimento dell’apparato burocratico dello stato (non solo delle leggi) ed una effettiva spending review non sono realmente attuati o programmati, anche se si continua ad affermare che sono necessari.
In pratica sembra che i nostri governanti, come sopra detto, stiano giocando una partita a poker con gli enti (finanziari, internazionali ecc.) che vorrebbero si modificasse il DEF così come presentato, ma nel contempo stiano anche giocando un’altra partita scommettendo sul verificarsi di particolari eventi in dipendenza delle decisioni programmatiche prese.
Ma questa seconda partita, che da quel che sembra è proprio una scommessa, quali probabilità ha di essere vinta?
Chi è l’avversario?
E chi perderebbe?
In ogni caso i soliti cittadini comuni.