Ancora non ci viene concesso
dai soliti media di capire quale sarà nel prossimo anno il nostro destino di
cittadini comuni e di contribuenti.
Secondo quanto viene affermato
da parte dei partiti di opposizione, a causa della manovra licenziata dal
governo, il carico fiscale previsto per il 2019 risulterà maggiore dell’anno
precedente di almeno mezzo punto percentuale.
La medesima notizia viene
confermata da alcuni istituti che si occupano di analisi economiche e da altri
commentatori che si definiscono indipendenti.
I rappresentanti del governo
(presidente del consiglio e vice presidenti tutti) ribadiscono peraltro che non
si avrà alcun aggravio di tasse od imposte e/o accise.
Eppure sembrerebbe assai facile
poter dedurre la verità semplicemente conteggiando le varie voci e cifre che
sono presenti nella stessa manovra economica.
Ma perché, di fronte ad una
così semplice questione, devono sorgere fumosi dibattiti e così apertamente
contrastanti osservazioni?
O vi è una previsione certa, o
si vuole mantenere l’incertezza per ovvi motivi politici che fanno gioco sia
all’opposizione, sia alla maggioranza.
Probabilmente (non si tratta
ancora una volta di una interpretazione) è vero, che secondo quanto ad oggi
previsto e legiferato, al fine di poter ottenere le necessarie disponibilità
per realizzare alcuni punti del programma di governo, si deve prendere atto che
la pressione fiscale non diminuirà, ma aumenterà più o meno dello 0,5%.
Ovviamente lo zero virgola
cinque per cento di aumento non rappresenta un grande sacrificio.
Resta il fatto che tale
aggravio non sarà lineare e quindi alcuni settori della nostra economia saranno
penalizzati più di altri, anche se la media degli aumenti dovrebbe risultare in
totale alquanto lieve.
Cerchiamo di capire perché i
nostri governanti (Conte, Di Maio, Salvini ) continuano invece ad affermare che
non vi saranno aumenti per i contribuenti, anche contro l’evidenza di risultati derivanti da semplici calcoli
aritmetici.
Consideriamo innanzitutto che
la manovra finanziaria e le varie poste di spese ed incassi ivi previste sono
state ridefinite frettolosamente sulla base di quanto indicato dagli organismi
di controllo europei e che a seguito di tale operazione scaturisce la
previsione di aggravio delle imposte di cui sopra.
Consideriamo che in origine i
conti del governo si erano basati sulla ipotesi di una maggior crescita
previsionale del nostro PIL (addirittura superiore a quella media prevista per
il complesso delle nazioni europee).
Consideriamo che lo stesso
ministro italiano della economia ha sempre affermato di ritenere che la
crescita della nostra economia sarà maggiore di quella dell’Europa.
Consideriamo che (speriamo in
buona fede) tutti i membri dell’attuale governo sono assolutamente convinti che
la crescita dell’economia italiana nel prossimo anno sarà superiore del
previsto uno per cento.
Si potrebbero allora
comprendere le motivazioni che giustificano le contrastanti affermazioni,
basate sulle medesime cifre che vengono ribadite dai nostri politici.
Le minoranze parlamentari
leggono tali cifre e rilevano che nella finanziaria vi è la previsione di un
aumento della imposizione fiscale (0,5% come detto, o anche di più): questo è
vero e lo si deduce dai numeri.
La maggioranza, fiduciosa che
il PIL italiano crescerà più dell’uno per cento previsto afferma
contemporaneamente che non vi saranno aumenti di imposizioni, perché certamente
compensati dalla maggiore crescita reale.
Ma non potevano dircelo
chiaramente? Perché lasciarci nel dubbio? Tutti (o quasi) avrebbero potuto capire
e condividere o meno tali interpretazioni della verità.
Dovrebbe essere proprio compito
della politica evitare comunicazioni fumose e contrastanti in modo da poter
consentire la libera e cosciente scelta degli elettori.
Purtroppo è da sempre lo stesso
sistema che, se non sarà veramente e sostanzialmente riformato, giustifica e
giustificherà ogni affermazione politica anche se solamente parallela e non
sovrapponibile alla realtà.
In definitiva noi elettori non
siamo ritenuti degni di acquisire la verità ed i nostri rappresentanti politici
continuano a trattare i comuni cittadini considerandoli come se fossero plebei
al tempo dell’antica Roma.
In epoca romana i plebei erano
certamente meno colti e capaci degli attuali contribuenti, per comandare senza
problemi bastava tenerli all’oscuro della verità e fornire loro abbondanza di
pane e spettacoli del circo.
Ma oggi come vengono considerati dai politici i comuni
cittadini???