domenica 30 dicembre 2018

Tasse in aumento oppure no?

Ancora non ci viene concesso dai soliti media di capire quale sarà nel prossimo anno il nostro destino di cittadini comuni e di contribuenti.

Secondo quanto viene affermato da parte dei partiti di opposizione, a causa della manovra licenziata dal governo, il carico fiscale previsto per il 2019 risulterà maggiore dell’anno precedente di almeno mezzo punto percentuale.
La medesima notizia viene confermata da alcuni istituti che si occupano di analisi economiche e da altri commentatori che si definiscono indipendenti.
I rappresentanti del governo (presidente del consiglio e vice presidenti tutti) ribadiscono peraltro che non si avrà alcun aggravio di tasse od imposte e/o accise.
Eppure sembrerebbe assai facile poter dedurre la verità semplicemente conteggiando le varie voci e cifre che sono presenti nella stessa manovra economica.
Ma perché, di fronte ad una così semplice questione, devono sorgere fumosi dibattiti e così apertamente contrastanti osservazioni?
O vi è una previsione certa, o si vuole mantenere l’incertezza per ovvi motivi politici che fanno gioco sia all’opposizione, sia alla maggioranza.
Probabilmente (non si tratta ancora una volta di una interpretazione) è vero, che secondo quanto ad oggi previsto e legiferato, al fine di poter ottenere le necessarie disponibilità per realizzare alcuni punti del programma di governo, si deve prendere atto che la pressione fiscale non diminuirà, ma aumenterà più o meno dello 0,5%.
Ovviamente lo zero virgola cinque per cento di aumento non rappresenta un grande sacrificio.
Resta il fatto che tale aggravio non sarà lineare e quindi alcuni settori della nostra economia saranno penalizzati più di altri, anche se la media degli aumenti dovrebbe risultare in totale alquanto lieve.
Cerchiamo di capire perché i nostri governanti (Conte, Di Maio, Salvini ) continuano invece ad affermare che non vi saranno aumenti per i contribuenti, anche contro l’evidenza  di risultati derivanti da semplici calcoli aritmetici.
Consideriamo innanzitutto che la manovra finanziaria e le varie poste di spese ed incassi ivi previste sono state ridefinite frettolosamente sulla base di quanto indicato dagli organismi di controllo europei e che a seguito di tale operazione scaturisce la previsione di aggravio delle imposte di cui sopra.
Consideriamo che in origine i conti del governo si erano basati sulla ipotesi di una maggior crescita previsionale del nostro PIL (addirittura superiore a quella media prevista per il complesso delle nazioni europee).
Consideriamo che lo stesso ministro italiano della economia ha sempre affermato di ritenere che la crescita della nostra economia sarà maggiore di quella  dell’Europa.
Consideriamo che (speriamo in buona fede) tutti i membri dell’attuale governo sono assolutamente convinti che la crescita dell’economia italiana nel prossimo anno sarà superiore del previsto uno per cento.
Si potrebbero allora comprendere le motivazioni che giustificano le contrastanti affermazioni, basate sulle medesime cifre che vengono ribadite dai nostri politici.
Le minoranze parlamentari leggono tali cifre e rilevano che nella finanziaria vi è la previsione di un aumento della imposizione fiscale (0,5% come detto, o anche di più): questo è vero e lo si deduce dai numeri.
La maggioranza, fiduciosa che il PIL italiano crescerà più dell’uno per cento previsto afferma contemporaneamente che non vi saranno aumenti di imposizioni, perché certamente compensati dalla maggiore crescita reale.
Ma non potevano dircelo chiaramente? Perché lasciarci nel dubbio? Tutti (o quasi) avrebbero potuto capire e condividere o meno tali interpretazioni della verità.
Dovrebbe essere proprio compito della politica evitare comunicazioni fumose e contrastanti in modo da poter consentire la libera e cosciente scelta degli elettori.
Purtroppo è da sempre lo stesso sistema che, se non sarà veramente e sostanzialmente riformato, giustifica e giustificherà ogni affermazione politica anche se solamente parallela e non sovrapponibile alla realtà.
In definitiva noi elettori non siamo ritenuti degni di acquisire la verità ed i nostri rappresentanti politici continuano a trattare i comuni cittadini considerandoli come se fossero plebei al tempo dell’antica Roma.
In epoca romana i plebei erano certamente meno colti e capaci degli attuali contribuenti, per comandare senza problemi bastava tenerli all’oscuro della verità e fornire loro abbondanza di pane e spettacoli del circo.
Ma oggi come vengono considerati dai politici i comuni cittadini???