giovedì 7 marzo 2019

Politica e problemi economici


Come al solito osserviamo come gli attuali politici stanno da sempre cercando di affrontare i vari problemi sociali che interessano direttamente od indirettamente i soliti cittadini comuni.
Per primo va chiarito che non sono solo i politici italiani a mostrare (ad ogni livello) un atteggiamento definibile in un certo senso predatorio, ma tale atteggiamento è da ritenersi comune a tutti i rappresentanti più o meno democraticamente eletti in Europa e addirittura nel mondo.

Sembra che una volta entrati a far parte della élite politica si perda il contatto con la realtà sociale per acquisire una visione onirica e fallace della stessa realtà e si agisca di conseguenza senza poter pensare ad altro che ad organizzarsi meglio per mantenere ed incrementare il potere acquisito.

Quale piccolo esempio si ricorda quanto di recente accaduto in occasione della rideterminazione delle presenze dei rappresentanti dei vari paesi nel parlamento europeo, causata dalla uscita del Regno Unito dall'unione.

Premesso che, a parte un numero massimo di parlamentari, nessuna particolare limitazione è prevista dalle regole sul numero minimo degli stessi.

Premesso che la nazione uscente (Inghilterra) non avrà più diritto ad occupare circa novanta seggi alla stessa spettanti in base alle regole prefissate.

Premesso che quindi in teoria si dovrebbero risparmiare notevoli somme dovute ai compensi e prebende varie spettanti a tali parlamentari (il che in un periodo attuale di crisi economica non guasta).

Nella realtà le autorità politiche europee hanno di comune accordo determinato di spartire tra vari pretendenti un terzo dei seggi parlamentari lasciati liberi, così da accontentare, con tale mancia, i desiderata di alcuni dei paesi partecipi dell’unione.

Visto che tra l’altro verranno a mancare i contributi per il funzionamento dell’organizzazione europea pagati dall'uscente, non sarebbe stato meglio risparmiare in toto i costi di gestione riferiti ai rappresentanti inglesi?

Eppure tutti, nessuno escluso riconoscono che in particolare l’Europa ed i paesi europei stanno attraversando una fase di recessione economica.

Si tratta invero di una spesa inutile a carico dei soliti cittadini comuni che peraltro ammonta a circa dieci milioni di Euro annui.

Sempre a proposito di spese e di necessità di risparmiare per affrontare l’attuale periodo difficile in questi giorni i nostri governanti stanno decidendo in merito alla prosecuzione o meno della costruzione del (o della) TAV.

In merito si valuterà, sulla base di una ponderosa relazione, il rapporto tra costi e benefici e si deciderà se proseguire o meno nella realizzazione dell’opera.

Notizie contrastanti, come al solito, vengono riferite dai media ed è difficile, per un singolo normale cittadino, comprendere la realtà delle cifre.

I lavori dovrebbero costare tre, quattro, forse cinque miliardi di Euro e potrebbero durare venti o anche trenta anni.

Premesso che per simili grandiose opere il metro di giudizio dovrebbe in parte prescindere dalla semplicistica comparazione tra costi e benefici, appare purtroppo evidente che il virus della politica abbia infettato e danneggiato le capacità raziocinanti dei nostri rappresentanti al parlamento.

Ci sono grandi interessi in gioco, ma se si parla realmente di tre miliardi da spendere e di una durata dei lavori pari a venti anni, si discute in merito ad una spesa effettiva di circa centocinquanta milioni annui, che a parte l’impegno immediato della somma globale, non dovrebbe rappresentare un grande problema per la nostra nazione che ha un PIL di duemila miliardi annui.

Quella sopra esposta è la visione molto semplicistica che il solito comune cittadino può ricavare da quanto viene semplicemente comunicato e diffuso dai media.

Un’altra problematica riguarda la volontà di alcune regioni italiane di ottenere la delega a gestire alcune materie (di fatto servizi e/o prestazioni verso gli abitanti) invece dello stato centrale.

Dal punto di vista economico il ragionamento dei fautori di tale delega parte dal principio che le somme che lo Stato dovrebbe riconoscere alla regione per la gestione del servizio sarebbero equivalenti a quelle spese dallo Stato stesso per il medesimo territorio.

Bisogna notare che, per poter operare nella prestazione di alcuni servizi in ambito regionale, lo stato si è dovuto dotare di un certo numero di incaricati ed addetti a livello ministeriale o locale, questi dovrebbero venire eliminati (non fisicamente) o ridotti, per cui ogni decisione dovrebbe anche in questo caso essere sottoposta a valutazione secondo il principio costi – benefici.

Non è certo un provvedimento politico immediato (decreto o simile) che potrebbe operare senza rischio di creare disparità di trattamento tra i cittadini a secondo della regione di appartenenza, ma si dovrebbe creare un nuovo modello di governance in grado di prevedere anche uno sviluppo ed incremento futuro e questo richiederebbe comunque studio e profonda meditazione, nonché tempi lunghi.

Saremo in grado di affrontare tale processo, o meglio saranno i nostri politici in grado di operare al meglio?