Gli avvenimenti che in
questi giorni hanno, in un certo senso, sconvolto la tranquilla routine del
massimo organo giudiziario italiano (il consiglio superiore della magistratura)
meritano particolare attenzione.
Innanzitutto cerchiamo di
chiarire come e chi può diventare magistrato.
Nel novantanove per cento
dei casi chi può aspirare con successo a concorrere per il ruolo di giudice è
un giovane figlio di famiglia borghese benestante, che grazie all’apporto
economico familiare ha potuto dedicarsi (ovviamente con profitto) agli studi
giuridici, magari presso una prestigiosa università privata e poi ha conseguito
la abilitazione all’esercizio della professione di avvocato o è stato prescelto
per la partecipazione a programmi di ricerca universitari.
Provvisto di tali
qualifiche un giovane laureato in legge può cimentarsi per entrare a far parte
della magistratura sostenendo le prove (scritte ed orali) di un concorso
pubblico.
In merito si ricorda che,
anche nelle fasi prodromiche agli esami per il concorso in magistratura, a suo
tempo sono sorti dei dubbi sulla correttezza e integrità di vari corsi di
preparazione, privati ed a pagamento, tenuti a volte da soggetti che di fatto
risultavano legati ai membri delle commissioni giudicatrici o comunque
coinvolti nella formazione (se non membri) delle stesse commissioni.
Dopo aver superato il
concorso l’aspirante giudice è già definito magistrato ordinario in tirocinio e
partecipa sotto la supervisione di un
collega più anziano a tale tirocinio della durata di almeno diciotto mesi, una
volta i futuri giudici erano chiamati giudici uditori perché il loro compito
era osservare ed imparare.
Nella realtà e in media
al termine del tirocinio, a circa due anni dal superamento del concorso, si
viene nominati magistrati presso un tribunale ordinario.
Tutte le fasi del
percorso che abilita un cittadino a divenire giudice sono controllate ed
avallate dalla attività del CSM che dovrebbe, malgrado tutto, essere ancor oggi
il faro luminoso della giustizia in Italia, nonché la garanzia della
indipendenza dalla politica.
Gli aspetti ed i credi
politici non dovrebbero influire sulla attività giudicante, ma è ovvio che così
non è di fatto e la stessa organizzazione in correnti fortemente politicizzate
della associazione di categoria dei magistrati e dello stesso CSM si sono
evidenziati finalmente con estrema chiarezza a seguito dei recenti avvenimenti
che hanno ancora una volta rivelato la probabile non assoluta imparzialità di
chi ci giudica.
D’altra parte, viste le
origini e l’univoco percorso formativo dei magistrati sopra descritto, se le
interpretazioni della legge fossero state anch’esse univocamente
standardizzate, probabilmente i cittadini si sarebbero potuti sentire
eccessivamente prevaricati dalla classe e dalla concezione politica cui, come
detto,appartengono quasi tutti i membri del potere giudicante.
Si è sempre trattato e si
tratta di un gioco di equilibri, di punti e contrappunti, assai caro al
presidente Mattarella che individua nella contrapposizione di concetti e poteri,
nella loro fusione finale democraticamente regolati, la realtà della vera
democrazia.
Purtroppo tale concezione
non tiene conto del fattore tempo che risulta necessariamente dilatato in
qualsiasi procedura democraticamente regolamentata, se non altro per dare tempo
a ciascuno di esprimere la propria opinione: oggi la società deve correre per
motivi economici e vari, mentre la democrazia, purtroppo, non sta correndo al
medesimo ritmo, specie in Italia.
Nei fatti ad oggi il CSM
appare affetto da un eccesso di politica, ma sarebbe sbagliato impedire del
tutto la attuale commistione tra politica e giudici, basterebbe eliminare del
tutto o quasi la posizione di privilegio lobbistico che consente ai giudici di
essere di fatto irresponsabili per le conseguenze delle loro decisioni, anche
se erronee.
In pratica si dovrebbe
intervenire nei confronti dell’assioma che i giudici sono soggetti solo alla
legge che solo essi stessi interpretano ed applicano, magari modificando la
composizione dello stesso CSM e riducendone i componenti cosiddetti togati.
Avendo parlato fino ad
ora di magistratura, infine, ci sia concesso di contestare quanto affermato da
alcuni media sulla questione degli emolumenti dorati della lobby dei
magistrati.
Lo stipendio netto di un
giudice in tirocinio è mensilmente di circa € 2.400,00 e ci vogliono altri quattro
anni per raggiungere la somma di € 3.600,00 a parte una serie di aumenti
successivi per anzianità, solo dopo molti anni (20/30) e il raggiungimento
della massima categoria si superano € 10.000,00; in fondo un bravo avvocato
guadagna sicuramente di più.
Questi aspetti economici,
in uno con gli atteggiamenti tenuti dai magistrati e membri del CSM in questi
giorni indagati, possono poi far pensare ai maligni che a concorrere per
divenire magistrato si vada più per affermare, attraverso il potere che così si
acquisisce, la propria personalità che non per sete di guadagni e anche questo
non consola.
Quanto avvenuto, ancora
una volta, non sembra lasciare alcun dubbio: il sistema non funziona e la
politica degli equilibri non risponde più alle esigenze di una democrazia
moderna e effettivamente dedita allo sviluppo sociale della cittadinanza, al
contrario si assiste ormai solo alla manifestazione di volontà prevaricatorie
contrapposte tra varie lobby e poteri.