martedì 18 giugno 2019

Magistrati politica e soldi


Gli avvenimenti che in questi giorni hanno, in un certo senso, sconvolto la tranquilla routine del massimo organo giudiziario italiano (il consiglio superiore della magistratura) meritano particolare attenzione.

 Innanzitutto cerchiamo di chiarire come e chi può diventare magistrato.

Nel novantanove per cento dei casi chi può aspirare con successo a concorrere per il ruolo di giudice è un giovane figlio di famiglia borghese benestante, che grazie all’apporto economico familiare ha potuto dedicarsi (ovviamente con profitto) agli studi giuridici, magari presso una prestigiosa università privata e poi ha conseguito la abilitazione all’esercizio della professione di avvocato o è stato prescelto per la partecipazione a programmi di ricerca universitari.

Provvisto di tali qualifiche un giovane laureato in legge può cimentarsi per entrare a far parte della magistratura sostenendo le prove (scritte ed orali) di un concorso pubblico.

In merito si ricorda che, anche nelle fasi prodromiche agli esami per il concorso in magistratura, a suo tempo sono sorti dei dubbi sulla correttezza e integrità di vari corsi di preparazione, privati ed a pagamento, tenuti a volte da soggetti che di fatto risultavano legati ai membri delle commissioni giudicatrici o comunque coinvolti nella formazione (se non membri) delle stesse commissioni.

Dopo aver superato il concorso l’aspirante giudice è già definito magistrato ordinario in tirocinio e partecipa  sotto la supervisione di un collega più anziano a tale tirocinio della durata di almeno diciotto mesi, una volta i futuri giudici erano chiamati giudici uditori perché il loro compito era osservare ed imparare.

Nella realtà e in media al termine del tirocinio, a circa due anni dal superamento del concorso, si viene nominati magistrati presso un tribunale ordinario.

Tutte le fasi del percorso che abilita un cittadino a divenire giudice sono controllate ed avallate dalla attività del CSM che dovrebbe, malgrado tutto, essere ancor oggi il faro luminoso della giustizia in Italia, nonché la garanzia della indipendenza dalla politica.

Gli aspetti ed i credi politici non dovrebbero influire sulla attività giudicante, ma è ovvio che così non è di fatto e la stessa organizzazione in correnti fortemente politicizzate della associazione di categoria dei magistrati e dello stesso CSM si sono evidenziati finalmente con estrema chiarezza a seguito dei recenti avvenimenti che hanno ancora una volta rivelato la probabile non assoluta imparzialità di chi ci giudica.

D’altra parte, viste le origini e l’univoco percorso formativo dei magistrati sopra descritto, se le interpretazioni della legge fossero state anch’esse univocamente standardizzate, probabilmente i cittadini si sarebbero potuti sentire eccessivamente prevaricati dalla classe e dalla concezione politica cui, come detto,appartengono quasi tutti i membri del potere giudicante.

Si è sempre trattato e si tratta di un gioco di equilibri, di punti e contrappunti, assai caro al presidente Mattarella che individua nella contrapposizione di concetti e poteri, nella loro fusione finale democraticamente regolati, la realtà della vera democrazia.

Purtroppo tale concezione non tiene conto del fattore tempo che risulta necessariamente dilatato in qualsiasi procedura democraticamente regolamentata, se non altro per dare tempo a ciascuno di esprimere la propria opinione: oggi la società deve correre per motivi economici e vari, mentre la democrazia, purtroppo, non sta correndo al medesimo ritmo, specie in Italia.

Nei fatti ad oggi il CSM appare affetto da un eccesso di politica, ma sarebbe sbagliato impedire del tutto la attuale commistione tra politica e giudici, basterebbe eliminare del tutto o quasi la posizione di privilegio lobbistico che consente ai giudici di essere di fatto irresponsabili per le conseguenze delle loro decisioni, anche se erronee.

In pratica si dovrebbe intervenire nei confronti dell’assioma che i giudici sono soggetti solo alla legge che solo essi stessi interpretano ed applicano, magari modificando la composizione dello stesso CSM e riducendone i componenti cosiddetti togati.

Avendo parlato fino ad ora di magistratura, infine, ci sia concesso di contestare quanto affermato da alcuni media sulla questione degli emolumenti dorati della lobby dei magistrati.

Lo stipendio netto di un giudice in tirocinio è mensilmente di circa € 2.400,00 e ci vogliono altri quattro anni per raggiungere la somma di € 3.600,00 a parte una serie di aumenti successivi per anzianità, solo dopo molti anni (20/30) e il raggiungimento della massima categoria si superano € 10.000,00; in fondo un bravo avvocato guadagna sicuramente di più.

Questi aspetti economici, in uno con gli atteggiamenti tenuti dai magistrati e membri del CSM in questi giorni indagati, possono poi far pensare ai maligni che a concorrere per divenire magistrato si vada più per affermare, attraverso il potere che così si acquisisce, la propria personalità che non per sete di guadagni e anche questo non consola.

Quanto avvenuto, ancora una volta, non sembra lasciare alcun dubbio: il sistema non funziona e la politica degli equilibri non risponde più alle esigenze di una democrazia moderna e effettivamente dedita allo sviluppo sociale della cittadinanza, al contrario si assiste ormai solo alla manifestazione di volontà prevaricatorie contrapposte tra varie lobby e poteri.