sabato 13 luglio 2019

Armi Libia e politica italiana


Appare abbastanza evidente che l’attuale assetto politico ed economico della penisola italica sia al momento alquanto indirizzato (o meglio condizionato), specie dal punto di vista finanziario, dalla solita lobby dei cosiddetti venditori di cannoni e dal potere economico della nostra multinazionale dell’energia (ENI), questo è assolutamente dimostrabile se si fa riferimento alle azioni del nostro governo in Libia e ad altri imbarazzanti avvenimenti recentemente saliti alla cronaca  grazie ad inchieste promosse dai media (Russiagate).


In particolare la situazione politica del territorio libico e tutti gli avvenimenti connessi alla peculiarità del momento potrebbero non essere altro che logiche conseguenze di una pianificazione posta in atto da lobby, che sfruttano, primariamente per loro guadagno, come complici i politici italiani e di varie nazioni europee.

Cerchiamo di esaminare quanto è avvenuto e sta avvenendo con un poco di fantasia, atta a proiettarci oltre la apparenza dei più recenti avvenimenti.

La Libia è un paese abbastanza esteso, ma con pochi abitanti, diviso in zone (non apparati regionali simili alle nostre regioni) che sono ciascuna sotto il controllo di una diversa entità tribale.

Non sempre il numero dei membri di una tribù è proporzionale all’area territoriale occupata, ed in più,  da sempre, i benefici economici dovuti ai proventi delle ricchezze petrolifere (e minerarie in genere) sono stati, per così dire, ridistribuiti dagli organi di governo centrale in favore degli abitanti, tenendo conto in primis della capacità militare di ciascuna delle citate entità tribali e solo in seconda istanza del numero dei beneficiari.

Questo ha sempre creato numerosi malcontenti tra i vari cittadini libici, sin dai tempi della cosiddetta dittatura di Gheddafi, che per altro stroncava con il classico pugno di ferro ogni protesta in merito.

Per ora al comando dello stato libico vi sono due diverse autorità, una con base a Tripoli, riconosciuta come legittimo governo dagli organismi internazionali e una con base a Bengasi, riconosciuta legittima da varie nazioni (facenti peraltro parte degli stessi organismi internazionali).

Sembrerebbe un controsenso, ma è così!

Tra le due autorità libiche è in corso una vera e propria guerra con battaglie tra soldati che parlano la stessa lingua e in fondo hanno comuni origini.

In palio vi è non solo il controllo politico del paese, ma anche e specialmente il controllo dei flussi di cassa rappresentati dai diritti minerari che vengono pagati da varie multinazionali che attualmente gestiscono le operazioni di sfruttamento.

Non è interesse delle stesse varie multinazionali operanti in loco che il conflitto tra Tripoli e Bengasi cessi al più presto, lo si può immaginare e di seguito ne evidenzieremo alcuni motivi.

Per comprendere quanto sta avvenendo dobbiamo anche ricordare che il precedente governo (gheddafiano!) è stato abbattuto grazie all’intervento di una alleanza di nazioni, che stranamente sono intervenute, a loro dire per motivi umanitari, quando stava per concretizzarsi la possibilità di rinegoziare i termini economici di vari accordi economici internazionali e quando si era ventilato che la Libia potesse cominciare ad estrarre, raffinare e/o distribuire direttamente il proprio petrolio, magari attraverso un accordo privilegiato con l’Italia.

E’ d’uopo ricordare dal punto di vista storico le azioni ed i simili programmi perseguiti a suo tempo dal compianto presidente dell’ENI, E. Mattei.

Al giorno d’oggi i governanti italiani si sono di fatto schierati con le autorità libiche di Tripoli cui forniscono aiuto militare specialmente attraverso la fornitura di mezzi navali militari realizzati per lo più dalla Fincantieri (che peraltro costruisce e vende, direttamente o attraverso partecipate o collegate, vari altri tipi di armamenti).

Quelli che appoggiano il governo di Bengasi, forse capitanati, se così si può dire, dalla Francia forniscono all’esercito di tale governo sistemi di missili anticarro e varie altre tipologie di simili attrezzi.

E’ chiaro che, permanendo lo stato attuale, nessuno in Libia potrebbe cercare di rinegoziare i termini economici degli accordi per la cessione delle ricchezze del sottosuolo o tanto meno darsi da fare per svincolarsi dalla ingombrante e notoriamente prevaricatrice azione delle varie multinazionali presenti nel paese.

A dimostrare che lo stato di guerra in Libia, almeno per ora, fa comodo a tanti, si rifletta sul fatto che la recente offensiva scagliata dal governo di Bengasi si è rallentata e quasi infranta, più che a causa della resistenza di Tripoli e dell’intervento di precarie forze alleate, a seguito della difficoltà per le truppe attaccanti di assicurarsi un sufficiente numero di munizioni.

Quindi, da un lato i libici sono ridotti a controparte debole nelle negoziazioni per la vendita delle loro risorse, dall’altro una buona parte dei loro guadagni derivanti da tali vendite deve essere investito nell’acquisto di armamenti e munizioni, il che è a vantaggio di altre (o delle stesse) multinazionali operanti o meno nel territorio.

Di recente ulteriori 10 (dieci) motovedette sono state fornite dall’Italia al governo di Tripoli (siamo intorno od oltre quota venti?), ma non certo per la preminente motivazione di cercare di ottenere così un maggior controllo sui migranti clandestini che si muovono dalle coste libiche verso l’Italia; la vera motivazione è il rafforzamento della capacità di resistenza dello stesso governo tripolino grazie alla supremazia militare dei suoi armamenti marittimi.

Nel frattempo tra i lavori per il nuovo ponte di Genova e le navi e le armi ecc. la citata Fincantieri sta guadagnando molto e quindi risanando una buona parte della economia, quanto meno locale, speriamo non ci saranno sorprese e speriamo nella equità della redistribuzione dei redditi derivanti, redistribuzione che come possiamo dedurre è certo più difficile per i poveri cittadini libici.

Resta da stabilire se l’insieme delle attività sopra descritte nasca da una leale concertazione tra i politici e gli operatori economici coinvolti o derivi da azioni prevaricanti degli stessi soggetti privati, il che alla fine sarebbe certamente nocivo per il raggiungimento dell’equa redistribuzione di ricchezza che auspichiamo avvenga in massima parte a favore dei comuni cittadini italiani, ma anche libici!

Uhumm, ci crediamo?