Appare abbastanza
evidente che l’attuale assetto politico ed economico della penisola italica sia
al momento alquanto indirizzato (o meglio condizionato), specie dal punto di
vista finanziario, dalla solita lobby dei cosiddetti venditori di cannoni e dal
potere economico della nostra multinazionale dell’energia (ENI), questo è
assolutamente dimostrabile se si fa riferimento alle azioni del nostro governo
in Libia e ad altri imbarazzanti avvenimenti recentemente saliti alla cronaca grazie ad inchieste promosse dai media
(Russiagate).
In particolare la
situazione politica del territorio libico e tutti gli avvenimenti connessi alla
peculiarità del momento potrebbero non essere altro che logiche conseguenze di
una pianificazione posta in atto da lobby, che sfruttano, primariamente per
loro guadagno, come complici i politici italiani e di varie nazioni europee.
Cerchiamo di esaminare
quanto è avvenuto e sta avvenendo con un poco di fantasia, atta a proiettarci
oltre la apparenza dei più recenti avvenimenti.
La Libia è un paese
abbastanza esteso, ma con pochi abitanti, diviso in zone (non apparati
regionali simili alle nostre regioni) che sono ciascuna sotto il controllo di
una diversa entità tribale.
Non sempre il numero dei
membri di una tribù è proporzionale all’area territoriale occupata, ed in più, da sempre, i benefici economici dovuti ai
proventi delle ricchezze petrolifere (e minerarie in genere) sono stati, per
così dire, ridistribuiti dagli organi di governo centrale in favore degli
abitanti, tenendo conto in primis della capacità militare di ciascuna delle
citate entità tribali e solo in seconda istanza del numero dei beneficiari.
Questo ha sempre creato
numerosi malcontenti tra i vari cittadini libici, sin dai tempi della cosiddetta
dittatura di Gheddafi, che per altro stroncava con il classico pugno di ferro
ogni protesta in merito.
Per ora al comando dello
stato libico vi sono due diverse autorità, una con base a Tripoli, riconosciuta
come legittimo governo dagli organismi internazionali e una con base a Bengasi,
riconosciuta legittima da varie nazioni (facenti peraltro parte degli stessi
organismi internazionali).
Sembrerebbe un
controsenso, ma è così!
Tra le due autorità
libiche è in corso una vera e propria guerra con battaglie tra soldati che
parlano la stessa lingua e in fondo hanno comuni origini.
In palio vi è non solo il
controllo politico del paese, ma anche e specialmente il controllo dei flussi
di cassa rappresentati dai diritti minerari che vengono pagati da varie
multinazionali che attualmente gestiscono le operazioni di sfruttamento.
Non è interesse delle
stesse varie multinazionali operanti in loco che il conflitto tra Tripoli e
Bengasi cessi al più presto, lo si può immaginare e di seguito ne evidenzieremo
alcuni motivi.
Per comprendere quanto sta
avvenendo dobbiamo anche ricordare che il precedente governo (gheddafiano!) è
stato abbattuto grazie all’intervento di una alleanza di nazioni, che
stranamente sono intervenute, a loro dire per motivi umanitari, quando stava
per concretizzarsi la possibilità di rinegoziare i termini economici di vari
accordi economici internazionali e quando si era ventilato che la Libia potesse
cominciare ad estrarre, raffinare e/o distribuire direttamente il proprio
petrolio, magari attraverso un accordo privilegiato con l’Italia.
E’ d’uopo ricordare dal
punto di vista storico le azioni ed i simili programmi perseguiti a suo tempo
dal compianto presidente dell’ENI, E. Mattei.
Al giorno d’oggi i
governanti italiani si sono di fatto schierati con le autorità libiche di
Tripoli cui forniscono aiuto militare specialmente attraverso la fornitura di
mezzi navali militari realizzati per lo più dalla Fincantieri (che peraltro
costruisce e vende, direttamente o attraverso partecipate o collegate, vari
altri tipi di armamenti).
Quelli che appoggiano il
governo di Bengasi, forse capitanati, se così si può dire, dalla Francia
forniscono all’esercito di tale governo sistemi di missili anticarro e varie
altre tipologie di simili attrezzi.
E’ chiaro che, permanendo
lo stato attuale, nessuno in Libia potrebbe cercare di rinegoziare i termini
economici degli accordi per la cessione delle ricchezze del sottosuolo o tanto
meno darsi da fare per svincolarsi dalla ingombrante e notoriamente
prevaricatrice azione delle varie multinazionali presenti nel paese.
A dimostrare che lo stato
di guerra in Libia, almeno per ora, fa comodo a tanti, si rifletta sul fatto
che la recente offensiva scagliata dal governo di Bengasi si è rallentata e
quasi infranta, più che a causa della resistenza di Tripoli e dell’intervento
di precarie forze alleate, a seguito della difficoltà per le truppe attaccanti
di assicurarsi un sufficiente numero di munizioni.
Quindi, da un lato i
libici sono ridotti a controparte debole nelle negoziazioni per la vendita
delle loro risorse, dall’altro una buona parte dei loro guadagni derivanti da
tali vendite deve essere investito nell’acquisto di armamenti e munizioni, il
che è a vantaggio di altre (o delle stesse) multinazionali operanti o meno nel
territorio.
Di recente ulteriori 10
(dieci) motovedette sono state fornite dall’Italia al governo di Tripoli (siamo
intorno od oltre quota venti?), ma non certo per la preminente motivazione di cercare
di ottenere così un maggior controllo sui migranti clandestini che si muovono
dalle coste libiche verso l’Italia; la vera motivazione è il rafforzamento
della capacità di resistenza dello stesso governo tripolino grazie alla
supremazia militare dei suoi armamenti marittimi.
Nel frattempo tra i
lavori per il nuovo ponte di Genova e le navi e le armi ecc. la citata
Fincantieri sta guadagnando molto e quindi risanando una buona parte della
economia, quanto meno locale, speriamo non ci saranno sorprese e speriamo nella
equità della redistribuzione dei redditi derivanti, redistribuzione che come
possiamo dedurre è certo più difficile per i poveri cittadini libici.
Resta da stabilire se
l’insieme delle attività sopra descritte nasca da una leale concertazione tra i
politici e gli operatori economici coinvolti o derivi da azioni prevaricanti
degli stessi soggetti privati, il che alla fine sarebbe certamente nocivo per
il raggiungimento dell’equa redistribuzione di ricchezza che auspichiamo
avvenga in massima parte a favore dei comuni cittadini italiani, ma anche libici!
Uhumm, ci crediamo?