lunedì 11 novembre 2019

Arcelor Mittal Taranto chiarezza e buonsenso


Sulla vita futura della acciaieria di Taranto (una delle più grandi del mondo) stanno sorgendo numerose controversie, quasi una guerra tra industriali e politici e tra questi al loro interno.

Per meglio comprendere riassumiamo a grandi linee quanto è accaduto in precedenza.
La fabbrica tarantina è stata costruita nel 1965 per volontà politica ed è rimasta di proprietà pubblica dello stato italiano, che la deteneva col nome di Italsider, fino al 1995, anno in cui l’azienda fu ceduta al gruppo Riva.

Si può solo immaginare come l’unico stabilimento di così grandi proporzioni realizzato nel profondo  sud sia stato gestito per trenta anni dai vari governi che in tale periodo si sono succeduti alla guida del paese.

In pratica quasi tutte le istanze lavorative dell’area pugliese dove era sorta la fabbrica venivano soddisfatte da intermediari politici, o peggio da membri di organizzazioni private, con la assunzione nel polo dell’acciaio e/o nell’indotto e questo portava come conseguenza alla necessità di ampliamento continuo dello stesso stabilimento.

Alla fine nel 1995 il pacchetto produttivo, divenuto un gigante senza eguali in Europa giunto ad avere ben 13.000 (tredicimila) dipendenti è stato, per logica e per necessità, ceduto ad un gruppo privato italiano (Riva) che produceva acciaio (lo stesso o simile) con alcune fabbriche assai più piccole.

La dismissione non è stata scevra da critiche e sospetti giacché il prezzo pagato per l’acquisizione dalla holding subentrante è stato ritenuto da molti poco congruo relativamente al bene ceduto e vari benefit sono stati per di più riconosciuti all’acquirente.

Si è stimato un valore di quattro miliardi  contro un prezzo stabilito di soli due miliardi e mezzo, ma evidentemente non vi erano altre soluzioni per poter mantenere una certa funzionalità ed i livelli occupazionali ormai indispensabili per la zona.

Fino al 2012 le acciaierie, col nome nel frattempo cambiato da Italsider ad ILVA hanno continuato a rappresentare la più grande realtà industriale della puglia e del sud Italia in genere.

Purtroppo, o forse per fortuna, nel 2012 la magistratura si accorge che il ciclo produttivo dello stabilimento aveva causato e stava causando un danno ambientale ed alla salute dei cittadini inimmaginabile e tragico.

I morti per incidenti diretti o indirettamente a causa dell’inquinamento sono stati stimati in quasi dodicimila, uomini donne bambini, in (solo) circa sette anni.

Tra la sopravvenuta crisi di mercato e le vicende giudiziarie il gruppo Riva si è sfaldato e non si è più ripreso; l’insediamento di Taranto è stato sequestrato e dato in gestione commissariale per poter continuare a produrre e garantire la sopravvivenza (solo quella economica) dei dipendenti.

È evidente che la produzione di acciaio senza produrre eccessivo inquinamento è più onerosa e prevede una serie di interventi e modifiche, così come è evidente che la contemporanea bonifica di quanto inquinato e rovinato in precedenza doveva e deve essere prontamente realizzata.

Per ottenere questi risultati ci vogliono soldi e capacità che generalmente non competono ad un commissario nominato in pratica di concerto tra la autorità giudiziaria e la politica.

Si è allora determinato di cedere, attraverso una vera e propria gara di appalto, tutte le attività dello stesso stabilimento, con l’obbligo di procedere alle necessarie opere di modifica ed ammodernamento degli impianti e di bonifica o comunque messa in sicurezza delle aree interessate dai precedenti sversamenti inquinanti.

Il gruppo internazionale Arcelor Mittal ha vinto la gara offrendo di investire circa quattro miliardi e mezzo nelle operazioni di ristrutturazione della produzione e di bonifica dei siti e un piccolo canone annuo.

Per quel che appare la proprietà di tutti i terreni, gli immobili ed i macchinari sarebbe stata alla fine assegnata allo stesso gruppo.

Il ricavato delle vendite della produzione, detratti i costi di gestione ed altri oneri vari, avrebbe dovuto ammortizzare e compensare l’investimento.

Lo stesso Arcelor Mittal veniva manlevato dalla responsabilità penale (scudo penale) per i reati relativi all’inquinamento prodotto durante le precedenti gestioni e per quello causato fino al termine delle operazioni di modifica e bonifica delle linee di produzione; il tutto, in teoria, secondo una tabella temporale predeterminata.

Il problema è che la gestione (anche a causa di crisi e recessione di mercato) è in passivo, l’attività perde circa due milioni al giorno e lo scudo penale è stato abolito per volontà politica.

Qualunque industriale serio non si metterebbe mai a investire e lavorare sapendo che il suo lavoro non frutterà altro che perdite attuali e future causate dalle solite problematiche strutturali italiane e in particolare dall’eccessivo numero di dipendenti accumulatisi, come detto, nei precedenti anni.

A parte ogni considerazione sul mantenimento dei livelli occupazionali ed ogni fantasiosa rappresentazione di piani industriali, piani di rilancio, ecc. ecc., la richiesta di Arcelor Mittal di poter ridurre il numero dei dipendenti è giustificata dal fatto che evidentemente vi sono degli esuberi e che nel mentre si opera per realizzare i cambiamenti necessari e per le bonifiche non si può produrre a ritmo serrato e magari poi non vendere, vista la crisi di mercato.

Considerato quanto sopra o la comunità (i soliti normali cittadini) si accollerà ulteriori costi altissimi ed al momento indeterminabili o nessuno sarà disponibile a rilevare le attività di produzione dell’acciaio a Taranto.

Se lo stabilimento venisse riassorbito dalla mano pubblica sarebbe un disastro economico per il paese e per gli Italiani.

Se lo stabilimento stesso fosse dismesso si dovranno comunque terminare le bonifiche dei siti e sorgerà il problema di ricollocare le migliaia di lavoratori che non potranno essere certo assorbiti da altre industrie esistenti, o meglio non esistenti, nel territorio.

A voler mal pensare si potrebbe supporre che la commedia, inscenata a cura della Arcelor Mittal, avesse nella realtà come scopo finale quello di eliminare un possibile concorrente (la ILVA) e che i nostri politici si siano trovati coinvolti (per loro dabbenaggine?) in questa tragicommedia prevedibile e annunciata.

Noi soliti comuni cittadini comunque dovremo pagare!?. 
Come al solito!!!.