Sulla vita futura della
acciaieria di Taranto (una delle più grandi del mondo) stanno sorgendo numerose
controversie, quasi una guerra tra industriali e politici e tra questi al loro
interno.
Per meglio comprendere
riassumiamo a grandi linee quanto è accaduto in precedenza.
La fabbrica tarantina è
stata costruita nel 1965 per volontà politica ed è rimasta di proprietà
pubblica dello stato italiano, che la deteneva col nome di Italsider, fino al
1995, anno in cui l’azienda fu ceduta al gruppo Riva.
Si può solo immaginare
come l’unico stabilimento di così grandi proporzioni realizzato nel profondo sud sia stato gestito per trenta anni dai vari
governi che in tale periodo si sono succeduti alla guida del paese.
In pratica quasi tutte le
istanze lavorative dell’area pugliese dove era sorta la fabbrica venivano
soddisfatte da intermediari politici, o peggio da membri di organizzazioni
private, con la assunzione nel polo dell’acciaio e/o nell’indotto e questo
portava come conseguenza alla necessità di ampliamento continuo dello stesso
stabilimento.
Alla fine nel 1995 il
pacchetto produttivo, divenuto un gigante senza eguali in Europa giunto ad
avere ben 13.000 (tredicimila) dipendenti è stato, per logica e per necessità,
ceduto ad un gruppo privato italiano (Riva) che produceva acciaio (lo stesso o
simile) con alcune fabbriche assai più piccole.
La dismissione non è
stata scevra da critiche e sospetti giacché il prezzo pagato per l’acquisizione
dalla holding subentrante è stato ritenuto da molti poco congruo relativamente
al bene ceduto e vari benefit sono stati per di più riconosciuti all’acquirente.
Si è stimato un valore di
quattro miliardi contro un prezzo
stabilito di soli due miliardi e mezzo, ma evidentemente non vi erano altre
soluzioni per poter mantenere una certa funzionalità ed i livelli occupazionali
ormai indispensabili per la zona.
Fino al 2012 le
acciaierie, col nome nel frattempo cambiato da Italsider ad ILVA hanno
continuato a rappresentare la più grande realtà industriale della puglia e del
sud Italia in genere.
Purtroppo, o forse per
fortuna, nel 2012 la magistratura si accorge che il ciclo produttivo dello
stabilimento aveva causato e stava causando un danno ambientale ed alla salute
dei cittadini inimmaginabile e tragico.
I morti per incidenti
diretti o indirettamente a causa dell’inquinamento sono stati stimati in quasi
dodicimila, uomini donne bambini, in (solo) circa sette anni.
Tra la sopravvenuta crisi
di mercato e le vicende giudiziarie il gruppo Riva si è sfaldato e non si è più
ripreso; l’insediamento di Taranto è stato sequestrato e dato in gestione
commissariale per poter continuare a produrre e garantire la sopravvivenza
(solo quella economica) dei dipendenti.
È evidente che la
produzione di acciaio senza produrre eccessivo inquinamento è più onerosa e
prevede una serie di interventi e modifiche, così come è evidente che la
contemporanea bonifica di quanto inquinato e rovinato in precedenza doveva e
deve essere prontamente realizzata.
Per ottenere questi
risultati ci vogliono soldi e capacità che generalmente non competono ad un
commissario nominato in pratica di concerto tra la autorità giudiziaria e la
politica.
Si è allora determinato
di cedere, attraverso una vera e propria gara di appalto, tutte le attività
dello stesso stabilimento, con l’obbligo di procedere alle necessarie opere di
modifica ed ammodernamento degli impianti e di bonifica o comunque messa in
sicurezza delle aree interessate dai precedenti sversamenti inquinanti.
Il gruppo internazionale
Arcelor Mittal ha vinto la gara offrendo di investire circa quattro miliardi e
mezzo nelle operazioni di ristrutturazione della produzione e di bonifica dei
siti e un piccolo canone annuo.
Per quel che appare la
proprietà di tutti i terreni, gli immobili ed i macchinari sarebbe stata alla
fine assegnata allo stesso gruppo.
Il ricavato delle vendite
della produzione, detratti i costi di gestione ed altri oneri vari, avrebbe
dovuto ammortizzare e compensare l’investimento.
Lo stesso Arcelor Mittal
veniva manlevato dalla responsabilità penale (scudo penale) per i reati
relativi all’inquinamento prodotto durante le precedenti gestioni e per quello
causato fino al termine delle operazioni di modifica e bonifica delle linee di
produzione; il tutto, in teoria, secondo una tabella temporale predeterminata.
Il problema è che la gestione
(anche a causa di crisi e recessione di mercato) è in passivo, l’attività perde
circa due milioni al giorno e lo scudo penale è stato abolito per volontà
politica.
Qualunque industriale
serio non si metterebbe mai a investire e lavorare sapendo che il suo lavoro
non frutterà altro che perdite attuali e future causate dalle solite
problematiche strutturali italiane e in particolare dall’eccessivo numero di
dipendenti accumulatisi, come detto, nei precedenti anni.
A parte ogni
considerazione sul mantenimento dei livelli occupazionali ed ogni fantasiosa
rappresentazione di piani industriali, piani di rilancio, ecc. ecc., la
richiesta di Arcelor Mittal di poter ridurre il numero dei dipendenti è
giustificata dal fatto che evidentemente vi sono degli esuberi e che nel mentre
si opera per realizzare i cambiamenti necessari e per le bonifiche non si può
produrre a ritmo serrato e magari poi non vendere, vista la crisi di mercato.
Considerato quanto sopra
o la comunità (i soliti normali cittadini) si accollerà ulteriori costi
altissimi ed al momento indeterminabili o nessuno sarà disponibile a rilevare
le attività di produzione dell’acciaio a Taranto.
Se lo stabilimento
venisse riassorbito dalla mano pubblica sarebbe un disastro economico per il
paese e per gli Italiani.
Se lo stabilimento stesso
fosse dismesso si dovranno comunque terminare le bonifiche dei siti e sorgerà
il problema di ricollocare le migliaia di lavoratori che non potranno essere
certo assorbiti da altre industrie esistenti, o meglio non esistenti, nel
territorio.
A voler mal pensare si
potrebbe supporre che la commedia, inscenata a cura della Arcelor Mittal,
avesse nella realtà come scopo finale quello di eliminare un possibile
concorrente (la ILVA) e che i nostri politici si siano trovati coinvolti (per
loro dabbenaggine?) in questa tragicommedia prevedibile e annunciata.
Noi soliti comuni
cittadini comunque dovremo pagare!?.
Come al solito!!!.