giovedì 8 ottobre 2020

TRIDICO E OLTRE

La questione degli emolumenti dei vari manager pubblici sembrava ormai superata dopo che già da tempo si era politicamente dibattuto l’argomento e si era determinato, con apposito provvedimento normativo.

L’importo di € 240.000,00 (duecentoquarantamila) quale massimo stipendio annuale liquidabile a chi, tra dipendenti statali ed assimilati, ricopre posizioni apicali.

Non è stata a suo tempo del tutto inclusa la onnicomprensività di tale somma per cui tale compenso può essere aumentato con rimborsi vari e altro, magari per trasferte, partecipazione a corsi di aggiornamento, tenuta di seminari o cumulo di altri incarichi.

Che chiunque, una volta nominato gestore responsabile dell’INPS, riceva uno stipendio annuale lordo di centocinquantamila Euro annui, secondo l’opinione del premier Conte (ed altri), non è in assoluto scandaloso e/o al di fuori della normativa.

Si potrebbe solo annotare che l’adeguamento degli emolumenti in precedenza percepiti da Tridico quale dipendente, ma di rango, o meglio ruolo, inferiore è avvenuto in un contesto generale di notevole sofferenza economica specie per gli italiani che non godono di stipendio fisso, statale o assimilabile e stanno soffrendo per il blocco dell’economia imposto per motivi sanitari.

Ma allora per quali motivi molti, anzi troppi, hanno espresso il proprio disappunto per tale accadimento che in fondo altro non è che un previsto riallineamento dei compensi a seguito di promozione?

Esaminiamo il caso in generale e in particolare:

Per prima cosa i comuni cittadini hanno ormai appreso a proprie spese che nessuno degli alti dirigenti e burocrati verrà mai chiamato a rendere conto, in qualità di responsabile, del proprio operato e se viene meno la responsabilità di chi comanda perché lo si dovrebbe pagare con lauti stipendi, magari alla pari di un dirigente del settore privato?

Nello specifico si imputa in particolare all’attuale presidente dell’INPS il fatto che tale ente sarebbe alquanto inefficiente e tra l’altro non ha ancora terminato di assegnare le somme da tempo stanziate per il pagamento della cassa integrazione ai dipendenti del settore privato; moltissimi di questi lavoratori aspettano da troppo (circa tre mesi) e spesso senza poter percepire alcun reddito sostitutivo.

È nota a tutti la questione della deresponsabilizzazione dei dipendenti pubblici per i ritardi e i danni dovuti a volte per errori e comunque normalmente per evidenti lungaggini nello svolgimento di qualsiasi pratica burocratica.

È convinzione di moltissimi tra i soliti cittadini comuni che in ambito statale ogni tipo di lavorazione venga svolta seguendo ritmi bradi peschi (proprio con la velocità di un bradipo).

È anche comune convinzione di quasi tutti gli italiani che i dipendenti dello stato (di alto o basso livello) percepiscano invero poco danaro per lo svolgimento del proprio lavoro, ma più di quanto sia equo a causa della sostanziale deresponsabilizzazione e delle modalità di svolgimento (con calma, molta calma) delle proprie mansioni.

Quindi i cittadini comuni dipendenti statali si lamentano per i loro bassi stipendi e gli stessi cittadini comuni, sia dipendenti, sia dirigenti e sia imprenditori del settore privato si lamentano per la lentezza e scarsa produttività dei dipendenti e gestori in genere della COSA pubblica.

È certamente ulteriore opinione comune che l’insieme dei regolamenti e delle norme che disciplinano i rapporti sociali tra cittadini e tra cittadini e stato è troppo complesso e dovrebbe essere riformato ed adeguato alle esigenze di una economia moderna e magari anche globale.

Tutti noi italiani concordiamo sulla necessità di riformare gran parte di tali regolamenti e norme, ma tutti ci stiamo forse illudendo di poter cambiare senza dover necessariamente sacrificare parte delle nostre cattive, ma comode, abitudini.

Concordano solo a parole, ma tendono a rallentare o addirittura ad evitare sostanziali riforme tutti coloro che lavorano nell’ambito pubblico nei ruoli apicali e godono di evidenti privilegi economici e normativi: i magistrati, i dirigenti ministeriali, gli amministratori di enti pubblici e anche di aziende private aventi lo stato quale azionista di maggioranza o di riferimento (ad esempio le municipalizzate dei trasporti) ecc.

Pertanto i processi durano troppo a lungo, la giustizia ne soffre, troppo spesso viene addirittura denegata, ma nessuno è responsabile.

Pertanto lo stato e quasi tutti i medi e grandi comuni italiani risultano carenti nella gestione dei servizi pubblici e nessuno degli amministratori è, o sarà mai, additato quale responsabile per gli eccessivi costi degli stessi servizi e la carenza nelle prestazioni.

Nel caso del sistema sanitario, che prima della pandemia era considerato quale fiore all’occhiello degli italiani, bisogna riconoscere che si è validamente opposto al coronavirus, non perché adeguatamente organizzato e gestito, ma solo grazie al sacrificio individuale di numerosi medici ed infermieri che sono morti per salvare altre vite.

Ancora una volta si deve ribadire che servono riforme strutturali dell’organizzazione dello stato, ma che queste non possono essere affidate a commissioni e/o task force formate in maggioranza dagli stessi attuali dirigenti e funzionari pubblici o assimilati che godono di particolari privilegi, altrimenti nulla cambierà veramente.

Bisogna rendersi finalmente conto che lo stato italiano non può migliorare le proprie prestazioni attraverso modifiche e riforme parziali, ma come diceva un noto campione di ciclismo, a questo punto GLI E’TUTTO DA RIFARE!