La questione degli emolumenti dei vari manager pubblici sembrava ormai superata dopo che già da tempo si era politicamente dibattuto l’argomento e si era determinato, con apposito provvedimento normativo.
L’importo di € 240.000,00 (duecentoquarantamila) quale massimo stipendio annuale liquidabile a chi, tra dipendenti statali ed assimilati, ricopre posizioni apicali.
Non è stata a suo tempo
del tutto inclusa la onnicomprensività di tale somma per cui tale compenso può
essere aumentato con rimborsi vari e altro, magari per trasferte,
partecipazione a corsi di aggiornamento, tenuta di seminari o cumulo di altri
incarichi.
Che chiunque, una volta
nominato gestore responsabile dell’INPS, riceva uno stipendio annuale lordo di centocinquantamila
Euro annui, secondo l’opinione del premier Conte (ed altri), non è in assoluto
scandaloso e/o al di fuori della normativa.
Si potrebbe solo annotare
che l’adeguamento degli emolumenti in precedenza percepiti da Tridico quale
dipendente, ma di rango, o meglio ruolo, inferiore è avvenuto in un contesto
generale di notevole sofferenza economica specie per gli italiani che non
godono di stipendio fisso, statale o assimilabile e stanno soffrendo per il
blocco dell’economia imposto per motivi sanitari.
Ma allora per quali
motivi molti, anzi troppi, hanno espresso il proprio disappunto per tale accadimento
che in fondo altro non è che un previsto riallineamento dei compensi a seguito
di promozione?
Esaminiamo il caso in
generale e in particolare:
Per prima cosa i comuni
cittadini hanno ormai appreso a proprie spese che nessuno degli alti dirigenti
e burocrati verrà mai chiamato a rendere conto, in qualità di responsabile, del
proprio operato e se viene meno la responsabilità di chi comanda perché lo si
dovrebbe pagare con lauti stipendi, magari alla pari di un dirigente del
settore privato?
Nello specifico si imputa
in particolare all’attuale presidente dell’INPS il fatto che tale ente sarebbe
alquanto inefficiente e tra l’altro non ha ancora terminato di assegnare le
somme da tempo stanziate per il pagamento della cassa integrazione ai
dipendenti del settore privato; moltissimi di questi lavoratori aspettano da troppo
(circa tre mesi) e spesso senza poter percepire alcun reddito sostitutivo.
È nota a tutti la
questione della deresponsabilizzazione dei dipendenti pubblici per i ritardi e
i danni dovuti a volte per errori e comunque normalmente per evidenti
lungaggini nello svolgimento di qualsiasi pratica burocratica.
È convinzione di
moltissimi tra i soliti cittadini comuni che in ambito statale ogni tipo di
lavorazione venga svolta seguendo ritmi bradi peschi (proprio con la velocità
di un bradipo).
È anche comune
convinzione di quasi tutti gli italiani che i dipendenti dello stato (di alto o
basso livello) percepiscano invero poco danaro per lo svolgimento del proprio
lavoro, ma più di quanto sia equo a causa della sostanziale
deresponsabilizzazione e delle modalità di svolgimento (con calma, molta calma)
delle proprie mansioni.
Quindi i cittadini comuni
dipendenti statali si lamentano per i loro bassi stipendi e gli stessi
cittadini comuni, sia dipendenti, sia dirigenti e sia imprenditori del settore
privato si lamentano per la lentezza e scarsa produttività dei dipendenti e
gestori in genere della COSA pubblica.
È certamente ulteriore
opinione comune che l’insieme dei regolamenti e delle norme che disciplinano i
rapporti sociali tra cittadini e tra cittadini e stato è troppo complesso e
dovrebbe essere riformato ed adeguato alle esigenze di una economia moderna e magari
anche globale.
Tutti noi italiani
concordiamo sulla necessità di riformare gran parte di tali regolamenti e
norme, ma tutti ci stiamo forse illudendo di poter cambiare senza dover
necessariamente sacrificare parte delle nostre cattive, ma comode, abitudini.
Concordano solo a parole,
ma tendono a rallentare o addirittura ad evitare sostanziali riforme tutti
coloro che lavorano nell’ambito pubblico nei ruoli apicali e godono di evidenti
privilegi economici e normativi: i magistrati, i dirigenti ministeriali, gli
amministratori di enti pubblici e anche di aziende private aventi lo stato
quale azionista di maggioranza o di riferimento (ad esempio le municipalizzate
dei trasporti) ecc.
Pertanto i processi
durano troppo a lungo, la giustizia ne soffre, troppo spesso viene addirittura
denegata, ma nessuno è responsabile.
Pertanto lo stato e quasi
tutti i medi e grandi comuni italiani risultano carenti nella gestione dei
servizi pubblici e nessuno degli amministratori è, o sarà mai, additato quale
responsabile per gli eccessivi costi degli stessi servizi e la carenza nelle
prestazioni.
Nel caso del sistema
sanitario, che prima della pandemia era considerato quale fiore all’occhiello
degli italiani, bisogna riconoscere che si è validamente opposto al
coronavirus, non perché adeguatamente organizzato e gestito, ma solo grazie al
sacrificio individuale di numerosi medici ed infermieri che sono morti per
salvare altre vite.
Ancora una volta si deve
ribadire che servono riforme strutturali dell’organizzazione dello stato, ma
che queste non possono essere affidate a commissioni e/o task force formate in
maggioranza dagli stessi attuali dirigenti e funzionari pubblici o assimilati
che godono di particolari privilegi, altrimenti nulla cambierà veramente.
Bisogna rendersi
finalmente conto che lo stato italiano non può migliorare le proprie
prestazioni attraverso modifiche e riforme parziali, ma come diceva un noto campione
di ciclismo, a questo punto GLI E’TUTTO DA RIFARE!