domenica 24 gennaio 2021

Italia che Vive

 

Negli ultimi giorni l’attenzione degli italiani è stata focalizzata sulle vicende politiche che hanno coinvolto principalmente la componente di governo che fa capo al senatore Matteo Renzi, lo stesso Matteo alla fine di lunghe diatribe, e aggiungiamo giustamente, ha reso impossibile la continuazione della coalizione tra vari partiti che detiene (o meglio deteneva) il potere.

Sui motivi della rottura del patto per il governo e delle dimissioni presentate dai ministri di Italia Viva (la componente de quo) si è ipotizzato e detto di tutto e di più.

Cerchiamo di riassumere l’accaduto e di individuare attraverso semplici ragionamenti se quali sono realtà e logiche motivazioni che hanno portato ad una siffatta crisi dell’esecutivo.

Alla base di tutta la querelle vi è stato un quasi totale disaccordo tra i governanti sulla gestione economica del paese, in particolare sul contenuto del programma degli interventi da realizzare con i fondi messi a disposizione dall’Europa per favorire la ripresa finanziaria post pandemica ed anche su come si dovrebbe gestire l’attuazione di tale programma (recovery plan) e su chi lo dovrebbe portare avanti.

Molto semplicemente si può osservare che è stata assolutamente razionale e coerente la decisione dei Renziani di presentare le dimissioni, se è vero che i motivi del dissenso sono solo quelli ufficialmente espressi dagli stessi ormai ex ministri di Italia Viva (in particolare l’inadeguatezza del predetto recovery plan) e se è vero che da parte degli altri componenti della compagine governativa è rimasto sostanzialmente fermo il diniego a modificare radicalmente quanto programmato unilateralmente (anzi, di fatto, bilateralmente in accordo tra PD e M5s).

Le stesse dimissioni non hanno interrotto la continuità del governo, ma sono state oggetto di severe censure da parte di coloro (gli stessi che detengono il potere) che ritengono dannoso il fatto che in caso si dovessero indire nuove elezioni si potrebbe incorrere in una situazione di potenziale vuoto di potere che a sua volta renderebbe meno pronte ed incisive le misure anti pandemiche da adottarsi di volta in volta per contrastare il Covid-19.

In merito a quanto sopra si deve notare che, in sostanza, la battaglia quotidiana contro il virus che ci affligge è combattuta ormai da tempo mediante il continuo monitoraggio della situazione sanitaria e la emissione di prescrizioni comportamentali, aggiornate spesso e rese cogenti attraverso l’uso di numerosi DPCM (decreto del presidente del consiglio dei ministri) che cercano di accogliere e mediare con la realtà del paese quanto consigliato e/o prescritto da un comitato tecnico scientifico composto per lo più da epidemiologi e illustri medici.

Per poter valutare se potrebbe aversi documento, in caso si dovessero promulgare nuove elezioni si tratta invero di stabilire se in Italia un presidente del consiglio sfiduciato dal parlamento, in attesa di nuove risultanze dai seggi elettorali, ha la facoltà di emettere, per i soliti motivi di necessità ed urgenza, nuovi atti regolatori (i DPCM); questa facoltà, secondo logica, dovrebbe essere naturalmente concessa, così come la eventuale ratifica o revoca (a posteriori) dei decreti stessi che nel frattempo avrebbero ottenuto il loro scopo regolatorio.

Per quanto sopra non vi dovrebbero essere stati od esservi timori per i problemi gestionali della epidemia in corso anche in occasione di eventuale ricorso a nuove elezioni, ai fini della sicurezza forse basterebbe predisporre nuove regole per i comizi e scaglionare in più giorni l’afflusso ai seggi dei votanti per evitare gli assembramenti. 

Il sorgere di un acceso dibattito tra politici (detentori del potere) su chi dovrebbe gestire il recovery plan ha fatto sì che il comune cittadino, nel suo piccolo, sia stato e sia in grado di constatare che i responsabili della cosa pubblica, da sempre, ma in specie da quando si è manifestata l’attuale emergenza pandemica, hanno fatto un larghissimo uso di decretazioni per motivi di necessità ed urgenza. 

Mai come negli ultimi anni, con o senza la scusante del virus si sono visti nominare commissari ad acta o task force varie con delega a monitorare e gestire le più svariate attività di governo anche generiche e troppe sono le situazioni particolari (persino di dubbia urgenza) che si cercano di risolvere in nome e per conto dello Stato, operando in deroga da vigenti leggi e regolamenti.

Tale modo di gestire il potere da parte dei governanti italiani dimostra che gli stessi non hanno fiducia nel fatto che il SISTEMA, nel suo assetto attuale, sia in grado di funzionare, adeguandosi alla mutevole realtà sociale, senza l’utilizzo di misure straordinarie e quindi che il sistema stesso deve essere radicalmente riformato.

Italia Viva, nel dissociarsi dalla compagine di governo, ha criticato aspramente e forse non a torto il ricorso alla delega dei poteri dello stato, accusando il premier Conte di voler agire di fatto quale plenipotenziario e non quale semplice presidente del consiglio dei ministri che assiomaticamente agisce con rispetto dei limiti della vigente normativa.

Si deve tener presente inoltre l’ipotesi che fino a quando le riforme dell’organizzazione statale: giustizia, scuola, sanità, regioni, ecc. ecc. non si saranno attuate, l’Europa potrebbe tenere stretti i cordoni della borsa.

Questa ipotesi, secondo il partito di Matteo Renzi, era ed è tutt’altro che un’ipotesi remota, visto il contenuto del testo del recovery plan elaborato sino ad oggi, che è ritenuto da molti italiani, politici, tecnici e amministrativisti, particolarmente generico ed inadeguato, in specie laddove tratta delle modifiche organizzative e della semplificazione degli apparati burocratici. 

D’altra parte in Italia senza l’intervento di organi di gestione nuovi e di volta in volta appositamente creati, l’attuale organizzazione statale mai (o quasi mai) è stata in grado di gestire direttamente e proficuamente situazioni e realtà al di fuori di quelle riferite alla mera ordinaria amministrazione.

Ma allora il solito cittadino comune si chiede perché il costo della organizzazione statale italiana è così alto e servono svariate centinaia di miliardi per garantire la sola gestione ordinaria?

Si era dibattuto a lungo di tagli e spending review all’interno della pubblica amministrazione ed ora non se ne parla più?

Oggi si parla solo di spesa e di come allocare i soldi che dovrebbero arrivare in Italia grazie al recovery fund, ma si tratta in realtà di organizzare una spesa virtuosa o solo di spendere, o magari sprecare per cercare di togliere dal pantano le ruote dell’economia, favorendo primariamente i soliti grandi gruppi finanziari?

I cani (politici, burocrati, lobbisti, sindacati, Confindustria, associazioni tra commercianti e/o artigiani ecc.) sono tutti riuniti per banchettare con l’osso rappresentato da più di duecento miliardi di Euro da spendere, ma attenzione perché una volta terminati questi soldi non ve ne saranno altri, né altro cibo!