mercoledì 2 febbraio 2022

Endemia

 Endemia è la parola d’ordine che i governanti della nazione italiana e di molte altre nazioni stanno cercando di imprimere nelle menti dei comuni cittadini.

In pratica si sta assistendo al tentativo di trasformare da pandemia ad endemia l’epidemia da coronavirus utilizzando allo scopo, sia gli strumenti medico-scientifici (quasi esclusivamente il vaccino), sia i decreti legge ed i proclami degli esponenti dei partiti sponsorizzati con gran clamore dai media.

La stessa trasformazione si è resa assolutamente necessaria, non per motivazioni attinenti alla salute pubblica, ma per motivi economici.

In particolare, per sostenere le aumentate spese sanitarie e gli oneri destinati a ristorare, anche se solo in piccola parte, le attività economiche costrette alla inattività a causa dei prolungati provvedimenti di lock down, l’Italia si è indebitata moltissimo.

Per ogni assestamento di bilancio, destinato a reperire fondi da impiegare (si noti: sempre in parte, mai in totale) a favore dei lavoratori, delle famiglie e delle imprese i nostri politici hanno esultato ed invitato tutti a gioire.

Non si è data peraltro sufficiente rilevanza al fatto che tali fondi normalmente si reperiscono sul mercato finanziario (mondiale) mediante l’emissione di titoli di debito con scadenza a breve o pluriennale.

Negli ultimi due anni l’aumento del debito statale per il nostro paese è stato rapidissimo e notevolissimo e comunque noi stessi, i nostri figli e peranco i nostri nipoti dovranno darsi da fare per ripianare tutto il passivo accumulato.

In Europa, per ora, la BCE sta intervenendo in favore di tutti i paesi della Unione comprando i bond che non vengono assorbiti dai fondi di investimento internazionali, o comunque dai privati, ma prima o poi dovrà smettere e i soliti comuni cittadini dovranno iniziare a pagare puntualmente e senza ulteriori aiuti ogni Euro di debito pubblico (comprensivo di interesse).

I fattori economici destinati a incidere sulla massa debitoria statale e quindi sulla mole dei sacrifici che il popolo dovrà sopportare per ripianare il debito sono in buona parte legati allo sviluppo a livello mondiale e nazionale della economia.

Se aumenta il PIL (prodotto interno lordo) di un paese, aumentano la produzione, le esportazioni e in proporzione gli introiti fiscali che nella più rosea delle previsioni dovrebbero essere impiegati per pagare a scadenza le varie tranche di debito degli stati.

In Italia il problema vero è che, a causa delle spese fatte per gestire la pandemia e la conseguente crisi economica, il debito pubblico è cresciuto e crescerà a dismisura (si tratta di alcune centinaia di miliardi).

Per mantenere virtuosamente in equilibrio il bilancio statale e non essere costretti ad imporre prelievi fiscali straordinari o a ricorrere alla bancarotta bisognerebbe riuscire ad incrementare lo stesso prodotto interno lordo di almeno due cifre decimali su base annua.

I politici (nel nostro caso il presidente del consiglio Draghi) sono consapevoli che un aiuto alla gestione del debito è rappresentato dall’aumento della inflazione che consente di ripagare con moneta svalutata il passivo pregresso.

Si deve peraltro innescare un rapporto virtuoso tra le varie componenti economiche che non consenta un aumento degli interessi debitori che si potrebbero rialzare rincorrendo la inflazione e vanificando quindi ogni beneficio.

Ad oggi il cosiddetto sistema Italia si mantiene in equilibrio: gli interessi pagati dai nostri bond sono abbastanza bassi, l’inflazione cresce, ma non troppo, la produzione aumenta anche se non così come sarebbe necessario.

È evidente come l’equilibrio economico della nostra nazione sia condizionato dagli equilibri politici già raggiunti che fino ad ora hanno garantito almeno in apparenza la necessaria stabilità ed efficienza, ottenendo la fiducia di chi ci ha finanziato sino ad oggi.

Proprio per rassicurare sulla compattezza politica e quindi sulla continuità nella gestione dei nostri conti, in occasione della recente elezione del nuovo presidente della repubblica l’unica soluzione possibile era ed è stata la scelta di una prorogatio dello status quo.

Resta da vedere se e quanto la volontà di mantenere e conservare l’attuale assetto politico sia dovuta a criteri di necessità o di volontà.

Nel primo caso (la necessità ha costretto i politici italiani a non rinnovare nulla in occasione della elezione del capo dello stato) resta la speranza che nel prossimo futuro potranno essere intrapresi percorsi di riforma reale della legislazione volti alla istaurazione di una giustizia sociale realmente più equa.

Nel secondo caso (la volontà dei politici italiani è stato il motivo primario del mancato rinnovo degli attuali assetti politici) dovremo dire addio alle pur necessarie istanze di miglioramento della società, si continuerà a dichiarare che è necessario rinnovare, riformare e snellire, ma nulla di reale e concreto sarà fatto.

Purtroppo ad oggi, per quanto si può dedurre dai provvedimenti adottati o programmati da chi ci continua a governare, la volontà di conservare e ripristinare sembra prevalere sulla volontà di rinnovare.

Equali sono e saranno le prospettive di reale miglioramento per i soliti comuni cittadini italiani? Poche o nessuna: CESSATE OGNI SPERANZA O VOI CHE ENTRATE!